Anche oggi un altro sbarco. Un’altra strage. Ecco cosa ci dicono i TG. Ecco cosa ci diciamo noi, leggendo il giornale, con aria indignata, rattristata, forse un po’ preoccupata. Come gestirli, come organizzarli, come far fronte all’emergenza? Chi deve occuparsene? L’Italia, l’Europa? Il governo, i cittadini? Chi può decidere di rimandarli a casa e come, quando, con che tempistiche? Chi può invece decidere di farne dei cittadini a tutti gli effetti? Sono solo alcune tra le domande che, quotidianamente, ci poniamo, si pongono, ai vertici e non. Insomma, è un problema, un problema da risolvere e di non facile soluzione.
Ma quello che Éric Toledano e Olivier Nakache vogliono fare non è certo di ripeterci, ancora una volta, queste domande senza risposta. O meglio, vogliono farlo, ma dal punto di vista di quel “problema” che, mentre attende di essere “risolto”, cerca di sopravvivere, di non dimenticarsi di se stesso, di conservare un’identità, in un mondo che preferirebbe semplicemente che il problema scomparisse. E in effetti, per la legge, nell’attesa di un permesso di soggiorno, nell’attesa di una pratica burocratica che non guarda in faccia a nessuno, il problema scompare davvero: foglio di via, e sei costretto a rientrare, a tornare al paese d’origine. Ma costretto da chi? Da nessuno in realtà. Dalla legge, è vero, ma da una legge senza volto, che si gira dall’altra parte, che sentenzia e non opera, mentre migliaia di vite iniziano e crescono nel buio, nell’anonimato, nella fuga d’identità, nella paura, nel senso di persecuzione, nell’impossibilità di conservare ancora un nome, o un volto. L’importante è avere un documento, quale che sia, che sia di un vecchio o di un giovane, che sia falso o autentico, l’importante è avere un pezzo di carta.
Ma a questi fantasmi senza nome e senza destino, che sognano una casa sul lago “con tutte le comodità” e intanto si dividono orgogliosamente tre metri quadri di appartamento; a queste facce tutte uguali ai margini di una società che non li aspetta, ma che chiede loro di aver pazienza, di aspettare un anno, preoccupandosi nel frattempo unicamente di “evitare le stazioni affollate”; anche a chi dal mondo é stato dimenticato può capitare di innamorarsi. Samba (Omar Sy) incontra Alice (Charlotte Gainsbourg), giovane donna in carriera reduce da un esaurimento nervoso, una donna che si è dimenticata per anni di vivere, di dormire, forse addirittura di respirare.
Così, come succede in un altra produzione francese adesso in sala, L’amore non perdona, dove però la protagonista Adriana ha trent’anni in più dell’amante Mohamed, Samba ci racconta una storia d’amore, un po’ folle, un po’ impossibile, tra un uomo e una donna, che per motivi diversi, per cause forse diametralmente opposte, cercano di non annegare, di rimettersi al passo con la vita. La storia di un incontro tra due mondi che i registi, com’era stato nel precedente Quasi amici, ci narrano con una leggerezza che non può che strappare un sorriso, di complicità e ammirazione, quando non una sonora risata. Un film delicato, aggraziato, doloroso senza crogiolarsi nel dolore, che ci racconta come alla fine tutto sia possibile, anche in condizioni avverse, per cogliere un’occasione di felicità. Perché quell’occasione, sia chiaro, c’è per tutti, basta avere il coraggio di acchiapparla al volo.
Monica Cristini
Samba
Regia e sceneggiatura: Éric Toledano e Olivier Nakache. Fotografia: Stéphane Fontaine. Montaggio: Dorian Rigal-Ansous. Musiche: Ludovico Einaudi. Interpreti: Charlotte Gainsbourg, Omar Sy, Tahar Rahim, Izia Higelin. Origine: Francia, 2014. Durata: 116′.
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