RecensioniSlider

SPECIALE Star Wars: L’ascesa di Skywalker

Fine di un’era

Star Wars è finito, dobbiamo farcene una ragione amici. O meglio: è finita la narrazione Skywalker/Palpatine iniziata 40 anni fa da George Lucas e conclusa a dicembre da J.J. Abrams. Altre storie espanderanno l’universo, tra cui la strepitosa serie The Mandalorian ideata da Jon Favreau e che si chiude in questi giorni negli USA; ma l’imperatore Darth Vader, Yoda, Luke e compagnia non li rivedremo, probabilmente, più.
Chiuderla non è stato facile: è totalmente mancata una visione che coprisse l’arco dei tre film dando uno svolgimento rotondo e armonico alla narrazione (il grande pregio della saga Marvel governata da Kevin Feide). All’episodio 7 di J.J. Abrams che nostalgicamente ritornava alle atmosfere polverose originali dopo il trionfo digitale degli episodi 1-2-3, è seguito Star Wars: Gli ultimi Jedi di Rian Johnson che ha ribaltato trame e psicologie dei personaggi. Rimanere coerenti alla trilogia è costato fatica: la si avverte soprattutto nella prima parte dove siamo invasi da spiegoni, colpi di scena e aggiustamenti riguardanti soprattutto la genealogia della protagonista; un lavoro di rammendo a tratti grossolano tanto da domandarsi se non potevano proprio esser trovate altre soluzioni. Non bastasse J.J. introduce nuovi personaggi e bestie varie (i cavalli parrucconi!) ma soprattutto tornano vecchi personaggi: per il “team forza” Lando Calrissian/Billy Dee Williams effettivamente un po’ imbolsito, per il “team lato oscuro” torna il cattivo per eccellenza ovvero l’imperatore Palpatine. Starwarsiani ortodossi segnalano come la presenza stessa dell’imperatore smentisca l’assunto-profezia di base delle prime due trilogie: Anakin su questa galassia per ristabilire l’equilibrio nella forza non sembra proprio aver funzionato. E come ultimo ingrediente della zuppa, tanti troppi morti ritornano; alcuni orientano e condizionano le vicende dell’Amletico Kylo Ren, altri semplicemente si manifestano per un ultimo collettivo commiato.
Lo spettatore è chiamato ad un atto di fede: o si crede nella forza (di Star Wars) oppure il film può risultare essere un’esperienza fastidiosa. Perché, sicuramente il capitolo migliore di questa ultima trilogia, ha anche dei pregi. I nuovi personaggi, forse liberi dall’ingombrante presenza dei protagonisti delle precedenti trilogie, acquistano tridimensionalità e spessore mentre alcune sequenze di combattimento o di inseguimento reggono e coinvolgono. Insomma la magia di Star Wars si sente e alla fine i personaggi diventano familiari, presenti, veri. E tra le pieghe del film si riescono a chiudere piccole vicende sospese che impreziosiscono quest’ultimo capitolo: viene finalmente consegnata la medaglia a Chewbacca, ingiustamente non premiato durante la cerimonia finale di episodio 4 (e bravo J.J.). Anche il finale convince riavvolgendo il tutto e riportandoci su Tatooine per seppellire ritualmente uno dei simboli di questa saga. Siamo a casa finalmente, un po’ commossi di esser stati coinvolti in una delle più grandi narrazioni del ventesimo/ventunesimo secolo.

Massimo Lazzaroni

L’Ascesa di Skywalker alla ricerca del mito

C’è un una sequenza, in Star Wars episodio 9 – L’Ascesa di Skywalker, ambientata su un pianeta mai sentito prima, dove si sta celebrando una festa rituale. Una festa che, ci viene spiegato, ricorre ogni 42 anni. Il primo film di questa lunghissima saga, Star Wars episodio 4 – Una nuova speranza (1977), uscì nelle sale il 25 maggio 1977: 42 anni fa. Per questo, per scrivere qualcosa di sensato su questo nuovo episodio, l’ultimo, bisognerebbe forse partire dalla fine. Quando i titoli di coda sono ormai finiti e le luci in sala si sono accese da un pezzo. Bisognerebbe partire da i commenti degli spettatori, mentre si infilano la giacca o vanno in cerca delle sigarette. Non porterà stupore l’accorgersi che i commenti più gravi, quelli pronunciati con una serietà quasi solenne, sono quelli dei coetanei dell’epopea immaginata da Lucas. Sono i commenti di chi traccia un bilancio finale. Di chi si appresta a chiudere i conti con un’esperienza durata tutta la vita.
In più di 40 anni, Star Wars ha lasciato una traccia nell’immaginario collettivo tanto grande da aver valicato i limiti della semplice opera cinematografica. È diventato un fenomeno di costume: come i Beatles, verrebbe da dire. O la Coca-cola, a voler essere un po’ meno romantici. Così è molto difficile (inutile?) guardare dentro quest’ultima opera come se fosse un’opera a se stante. È difficile persino guardarla come se fosse solo un film, e provare ad analizzarla con gli strumenti consueti; indagando la regia o il montaggio, per esempio. O muovendosi alla ricerca di un linguaggio coerente. Persino dirsi: è un buon film? Allo stesso modo per cui non ci sia domanda se la Coca-cola è buona oppure no. Se Love me do è una bella canzone. Che senso avrebbe, ormai? Quello che forse rimane da fare è domandarsi se L’Ascesa di Skywalker riesca o meno a collocarsi dentro il mito. Se sappia farne parte in maniere coerente. Se sia in grado di portare a termine il compito che si era prefissato: portare tutto ad un’inevitabile conclusione.
Quando nel 2015 J.J. Abrams aveva ereditato le sorti di quest’epopea, la prima cosa che aveva fatto era stata cercare di rimettere le cose a posto, ricucendo uno strappo che lo stesso Lucas aveva portato con la seconda trilogia. Per farlo, aveva quasi sacrificato la struttura narrativa, apparentemente riadagiandosi sul modello di Una nuova speranza. Ma in questo ricollocarsi quasi supino, aveva seminato il germe di uno scarto generazionale, suo e dei “suoi” nuovi personaggi, rispetto a Lucas, Han Solo e compagnia. E in questo, ci era sembrato, aveva davvero fatto centro; lasciando all’ottavo episodio (Gli ultimi jedi, 2017) il compito del vero passo in avanti.
Ma qui qualcosa deve essere andato storto e, con Rian Johnson alla regia, SW8 aveva preso strade inaspettate: spingendo malamente sul pedale dell’umorismo, introducendo personaggi improbabili e tentando maldestre critiche sociali (si pensi alla lunga sequenza al casinò, con le sue astronavi parcheggiate senza permesso sulla spiaggia e i carcerieri appena sotto i balconi dei ricchissimi). Affossato da una sceneggiatura povera di idee, Gli ultimi Jedi si concludevano con parecchi fili ingarbugliati in più e un antagonista in meno. Si potrebbe quasi dire che, ancora una volta, Abrams si sia ritrovato a dover ricominciare da capo, ma con molta meno libertà a disposizione, perché degli scenari aperti bisognava pur tenere conto.
In questi casi, probabilmente, l’unica cosa da fare è chinarsi su quanto di buono è rimasto e provare ad immaginare una possibile nuova strada. Sembra un gesto da niente, e invece. Come era stato per Il risveglio della forza (2015), Abrams torna alle origini, ripescando dalla prima trilogia le ceneri del Nemico Finale, e riaffidando ai primi eroi il compito di portare a termine la formazione dei loro figli e nipoti. Come allora, il senso di questa decisione sta rinchiuso nella consapevolezza che il confronto con quel passato è diventato ineludibile, ma questa volta, la necessità di dover far tornare i conti con il lascito di SW8 e quella di consegnarci un possibile finale lo costringono ad uscire del tutto allo scoperto, dismettendo le vesti del fan ossequioso per indossare quelle del continuatore. Ed è qui che l’Ascesa di Skywalker sembra vacillare. Se è vero che la narrazione riesce a non rallentare mai, il suo procedere passa molto spesso attraverso soluzioni già viste, e i tentativi di far combaciare tutto hanno, in più di un’occasione, il sapore della forzatura.


Eppure, i suoi personaggi, in un modo o nell’altro, sembrano crescere davvero, arrivando ad affrancarsi dai propri maestri fino a prendere il loro posto. Finalmente adulti, tanto da saper riconoscere le loro mancanze. Tanto da riconoscere la differenza tra il saper fare e il saper cosa fare.
A ben guardare è proprio questo il vero merito di quest’ultima trilogia: l’aver saputo riconoscere che Star Wars è soprattutto una storia di padri e figli, di percorsi da affrontare e prove da superare. Così era stato per Luke nel 1977, così è stato per Rey e Kylo Ren nel 2019. Ma poiché gli anni (e le generazioni!) non passano invano, ad ognuno il proprio percorso e le proprie prove. A ognuno, la propria spada laser.

Matteo Angaroni.

Star Wars episodio 9 – L’Ascesa di Skywalker

Regia: J.J. Abrams. Sceneggiatura: J.J. Abrams, Chris Terrio. Fotografia: Daniel Mindel. Montaggio: Maryann Brandon, Stefan Grube. Musiche: John Williams. Interpreti: Daisy Ridley, Mark Hamill, Lupita Nyong’o, John Boyega, Oscar Isaac, Adam Driver, Keri Russell, Carrie Fisher, Richard E. Grant, Billy Dee Williams, Naomi Ackie, Kelly Marie Tran, Anthony Daniels. Origine: USA, 2019. Durata: 141′.

Topics
Vedi altro

Articoli correlati

Back to top button
Close