Tele Visioni Seriali

The Walking Dead: la Fine attraversa la Tv

Poteva il piccolo schermo rimanere fuori dalla fine del mondo? Certo che no, tanto che per l’impegno è stato realizzato uno dei più bei racconti seriali che si potessero immaginare. The Walking Dead è la vera apocalisse: raccoglie l’ansia di 28 giorni di Boyle con la paura degli Zombie “capostipiti” di Romero. I morti viventi vengono così sdoganati in televisione grazie alla paura primordiale dell’uomo: quella di lottare contro se stesso per sopravvivere. Già perché di sopravvivere si tratta, da soli o in gruppo, senza regole predefinite che ci proteggano, senza punizioni dettate da leggi umane, solo l’istinto di sopravvivenza che costringe i protagonisti (e lo spettatore) a tornare a scelte “animali”.
La serie, tratta dai fumetti omonimi di Robert Kirkman, la cui prima stagione ha visto tra gli ideatori Frank Darabont (Le ali della libertà, Il miglio verde), è ad alto tasso adrenalinico e spettacolare e mette subito sul piatto, fin dalle prime immagini, le regole di un mondo ormai senza più alcuna guida, se non le esigenze personali dei protagonisti: come lo sceriffo Rick che uccide a sangue freddo una bambina-zombie. Un botto. Subito dentro la storia. Subito empatia con il protagonista che deve ritrovare la sua famiglia. Poi il racconto: chiunque muoia si trasforma in uno zombie, esseri che si nutrono solo di altri esseri viventi, soprattutto umani. È l’inizio della fine, l’inizio di un non-mondo in cui non ci sono più canoni. Rick, nella prima stagione, crede ancora nella coscienza, non vuole essere un animale. Shane, il suo miglior amico, no; lui ha ben altre idee: per proteggere la tua famiglia fai di tutto, calpesti anche la tua coscienza.

Nella seconda stagione la produzione, rimasta orfana di Darabont, cerca di giocare la carta minimalista e ambienta quasi tutto in una fattoria, cercando di scavare nei personaggi. I risultati ci sono a tratti (bellissimi i dialoghi e le tensioni tra Rick e Shane), ma c’è poca azione, e tutta nel finale con il “sacrificio” di alcuni personaggi chiave.

La vera sorpresa nella terza stagione: nonostante una prima puntata di eccessivo action, tanto da sembrare un videogioco, si torna a un’ambientazione più naturale in un carcere. Con il passare delle puntate i personaggi acquistano spessore esi passa a toni sempre più dark: le regole cambiano, anche Rick smette di indossare (anche fisicamente) gli abiti dello sceriffo, tanto che il cappello viene sempre portato dal figlio. La regola generale sembra essere una sola: chi mostra un briciolo di umanità muore.

The Walking Dead è l’apocalisse vera: non viene distrutta la terra con un semplice asteroide, non c’è una normale epidemia, non ci sono fenomeni naturali con messaggio ecologista. La serie è la rappresentazione dell’animo umano quando si trova a non avere più regole, con l’uomo posto di fronte alle scelte che può fare sapendo di non essere punito.
Le scene raccapriccianti non sono le peggiori da un punto di vista visivo (anche se molto efficaci): è molto peggio sentirsi dalla parte del bambino che deve uccidere la propria madre. Per arrivare a questo ci vuole una costruzione dei personaggi e delle situazioni praticamente perfetta, ovvero una sceneggiatura quasi di ferro. In questa terza stagione, a sentirsi buoni si ha veramente paura. È forse questa la fine del mondo?

Manuel Sgarella

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