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Un’Ossessione che cambiò il cinema: 70 anni dopo

title1Word16 maggio 1943, ovvero nel pieno della più orrenda guerra di tutti i tempi, a pochi mesi dalla caduta del regime fascista, in una sala romana appare sullo schermo una strada che conduce ad un nuovo modo di pensare al cinema, una via che porta verso le torbide contorsioni dell’animo umano. Inizia così Ossessione di Luchino Visconti, con una camionetta che percorre un terreno nei pressi del Ferrarese, sulle rive del Po, sotto una soffocante cappa di calura ed umidità che altera le percezioni, assonna la ragione, sporca i vestiti già luridi dell’affamato vagabondo Gino Costa (Massimo Girotti), che rimane folgorato dalle gambe nude della cuoca Giovanna (Clara Calamai), a sua volta catturata dallo sguardo penetrante di Gino e dal suo corpo giovane e maschio, così diverso da quello del flaccido e vecchio marito locandiere.

ossesSiamo fuori dagli ambienti fintamente arredati in stile art decò e dai modelli stantii imposti della commedia dei telefoni bianchi. In Ossessione l’ambiente è squallido e disordinato, così come la situazione nella quale si trovano i protagonisti: una relazione adultera, che diviene ossessione di possesso reciproco ed assoluto, per il quale si è disposti a tutto. Visconti, alla sua prima esperienza come regista, ha imparato dal realismo francese di Jean Renoir (per il quale aveva lavorato come assistente durante le riprese di Une partie de campagne nel 1936) che il cinema può elidere il peccato, per esaltare la colpa, i drammi e le passioni dell’animo umano. Lo scopo di Visconti è per sua stessa ammissione: “…raccontare le storie di uomini vivi: uomini vivi nelle cose, non le cose per se stesse”. Tutto ciò che è sbagliato viene tagliato, l’orrore e la disperazione, quelle restano, fanno parte della vita e non le si può scacciar via.
Il cinema della verità ha inizio dal personaggio che pareva meno adatto a questo tipo di rivoluzione, Luchino Visconti, soprannominato il Conte Rosso per il suo credo politico ed il suo status sociale. Giuseppe De Santis, Mario Alicata e Gianni Puccini (co-autori della sceneggiatura di Ossessione) credevano fosse un capriccio la volontà di questo nobile lombardo di esprimersi attraverso il mezzo cinematografico. Dovettero ricredersi. Visconti era uno di quei rari talenti che sanno trovare il giusto equilibrio tra il proprio vissuto e il contesto sociale per creare autentici capolavori. In Ossessione emergono già l’amore estremo per il melodramma con altissimi riferimenti culturali, caratteristica principale dell’intera filmografia viscontiana, ma anche già l’abilità di saper condurre con dolcezza gli attori ben oltre loro stessi e le loro possibilità.
OssessioneAllora un personaggio di contorno come lo Spagnolo, interpretato dallo sfortunato Elio Marcuzzo (ucciso per errore dai partigiani assieme al fratello Armando), può divenire emblematico del comunismo e della libertà. Secondo alcuni addirittura simbolo dell’omosessualità, perché c’è malizia nel modo in cui questo personaggio osserva il corpo di Gino dormiente accanto a lui, nel suo stesso letto, alla luce di un cerino acceso. Ciò non è da escludersi a priori, considerando opere della maturità del regista come Morte a Venezia e Ludwig, oltre che le inclinazioni personali dell’autore. Tuttavia se l’intento c’è non è verificabile oggettivamente, in quanto non esistono dichiarazioni a riguardo.
C’è invece prova del fatto che il giovane Massimo Girotti fu scelto per la sua prestanza fisica ed il suo aspetto atletico (infatti egli era campione in diverse discipline sportive). Ciò che dichiarò più volte l’attore in diverse interviste rilasciate nella senilità, era di aver appreso durante la realizzazione di Ossessione l’importanza nella direzione dell’attore. Era profondamente convinto che, nonostante la sua giovane età ed inesperienza, quella di Gino Costa fosse la sua interpretazione più riuscita, soprattutto grazie all’abilità di Visconti di saper amare e guidare l’attore al contempo.
Questo emerge superbamente nella figura di Giovanna Bragana, una donna comune, segnata dalle intemperie della vita e con una bellezza florida, ma sfiorita. Il ruolo fu assegnato ad Anna Magnani, che dovette rinunciare a causa dell’evidente stato di gravidanza. Solo all’ultimo momento fu scelta la diva Clara Calamai, abituata ad i fronzoli e merletti delle commedie all’ungherese. Si lamentò più volte dei poveri costumi di scena e della quasi totale assenza di trucco. Lei non poteva sapere che quel ruolo avrebbe consacrato alla storia un archetipo di donna preponderante nei decenni successivi e che quel personaggio avrebbe messo in luce il suo talento drammatico. Il modo enfatico di recitare sgranando gli occhi (un reflusso del cinema muto in realtà) sarebbe divento un’altra caratteristica sintomatica della profonda cultura teatrale di Visconti, portata allo stremo nel rivoluzionario film del ’54 Senso e nella pellicola del ’60 Rocco e i suoi fratelli. Cultura che in Ossessione è serva del corpo della Calamai, paragonata alla LUCHINO-VISCONTIVenere di Velàzquez nella scena dello specchio, e come donna fatale peccatrice, ma immune dalla colpa per il tradimento e l’assassinio del marito. Capricciosa ed inevitabile, questa è la femmina delineata da Visconti.
Tutto risulta immensamente differente dal libro di James M. Cain Il postino suona sempre due volte, dal quale il film fu pretestuosamente tratto per ottenere il nullaosta alla realizzazione dalla censura fascista. Eliminato l’elemento poliziesco resta il pulsare della vita e lo sguardo di un regista dalla mente imbevuta del realismo di Verga (solo nel ’47 Visconti riuscì ad adattare I Malavoglia con la pellicola La Terra Trema). Ossessione restò in sala poche ore prima che i fascisti ne distruggessero tutte le copie.
A settant’anni dalla sua uscita sappiamo quanto abbia rivoluzionato il cinema quell’unica copia salvata da Visconti e gelosamente custodita per anni. In realtà chiunque lavorò a quel film ebbe la percezione di partecipare a qualcosa d’importante. Fu il montatore Mario Serandrei che, vedendo il girato, lo definì “neorealista”. Il resto è storia.

 Giulia Colella

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