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Venezia 78: Deserto Particular, il road movie rompe con il mito del vero uomo

Lontano dai prodotti laccati hollywoodiani, Deserto particular (Private Beach), fresco vincitore del Premio del Pubblico per le Giornate degli autori, è un film coraggioso che decostruisce la mascolinità tossica e racconta le difficoltà relazionali delle persone non conformi al binarismo di genere eteropatriarcale.
Dopo il corto Tarantula (in concorso a Venezia nel 2015 per Orizzonti), Aly Muritiba torna a Venezia con un road movie che attraversa un Brasile diviso in due tra un sud conservatore e un nord più progressista. Al centro della storia troviamo Daniel, un poliziotto di Curitiba, sospeso dopo il pestaggio di una recluta e la diffusione di un video che testimonia l’accaduto. Dopo che Sara, la persona con cui Daniel ha una relazione virtuale, smette di rispondere ai suoi messaggi, il protagonista decide di partire verso Sobradinho, nel nord ovest del Brasile, in un viaggio apparentemente insensato. Ben presto la ricerca di Sara si trasforma in un gioco pericoloso, in cui Daniel distrugge progressivamente il fragile equilibrio di una vita in incognito. Questo perché Sara è costretta a nascondere la sua identità in famiglia e al lavoro, dove è obbligata a presentarsi al maschile, con il nome Robson. Da qui la diegesi si fa incandescente nella reazione bestiale di Daniel, che progressivamente lascia spazio al disorientamento, fino alla torsione completa del suo mondo valoriale.

Il terzo lungometraggio di Aly Muritiba torna a battere sulla piaga del machismo strutturale della società brasiliana, ma questa volta il regista sceglie una storia d’amore, un cambio di registro radicale dopo Ferrugem (Rust, 2018), in cui Muritiba affrontava il tema del suicidio legato alla diffusione di materiale pornografico (in una storia non dissimile da Después de Lucia di Michel Franco). Il regista brasiliano è molto attento a costruire la suspense nello spettatore, in un gioco di contrasti incandescenti che non scadono mai nel grottesco o nella rappresentazione stereotipata delle minoranze e questo è un grande merito in un contesto internazionale saturo di film sul mondo lgbtqia+ incapaci di prendere posizioni forti e propulsive. La tensione che accompagna il viaggio di Daniel fino all’incontro con Sara è ben espressa dai dettagli che sospendono la narrazione, indugiando sul corpo muscoloso del protagonista, in una fotografia che predilige le tinte verdastre delle luci al neon e i colori saturi del nightclub e della notte cittadina.
Benché la storia sia narrata prevalentemente dal punto di vista di Daniel, il film lascia il giusto spazio alle emozioni di Sara. Con grande realismo Muritiba traccia un ritratto fedele delle umiliazioni costanti che Sara, così come molte persone trans e non-binary, affronta nel confronto con l’uomo eterosessuale cisgender. In particolare, il film è attento alla dolorosa questione del deadname (il nome assegnato alla nascita ai soggetti trans e non-binary), mostrando quanto dolore possa provocare il suo utilizzo sprezzante, spesso associato a un passato o a un presente traumatico.

Dal paese con il più alto numero di omicidi a sfondo transfobico al mondo, Aly Muritiba ha il coraggio di portare un messaggio d’amore e resistenza in questa edizione della Mostra.

da Venezia, Isa Tonussi

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