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WolfWalkers – Il popolo dei lupi

L'ultimo capolavoro animato di Tomm Moore

Tomm Moore è un autore vero. Se siete tra i fortunati ad aver visto il precedente La canzone del mare e, soprattutto, il mai distribuito in Italia The Secret of Kells (2009), si esce dalla visione di WolfWalkers – Il popolo dei lupi con la sensazione di essere sprofondati ancora una volta nell’immaginario del regista. Che al timone sia solo o che condivida la direzione con altri colleghi, con tre soli lungometraggi in poco più di dieci anni, altrettante candidature agli oscar e un EFA (oscar europeo) a La canzone del mare, Moore ha già impresso un marchio di fabbrica sulle sue opere. C’è il cinema di animazione di Hayao Miyazachi, quello di Pete Docter, di Michel Ocelot, di Nick Park, o i film a passo uno di Tim Burton; adesso c’è il cinema d’animazione di questo regista irlandese di Newry, fondatore con Paul Young di una società di produzione nella contea di Kilkenny, che di fatto entra nella geografia del cinema che conta. Perché i film sin qui prodotti sono dei gioielli che non copiano nessuno, non soffrono di manierismi, ma vivono di atmosfere e stile inediti, con storie che attingono alle tradizioni locali ma che sanno essere universali.

A sei anni da La canzone del mare Moore, coadiuvato da Ross Stewart, si sposta dalle coste irlandesi all’entroterra per raccontare una storia che diventa fiaba, intrecciandosi con la mitologia, ma che parte da un fatto accaduto davvero nel secolo Diciassettesimo in Irlanda del Nord, ovvero la carneficina di lupi per mano (armata) degli inglesi, che dovevano proteggere i loro affari. Un wolfwalker, tanto quanto una selkie (protagonista nel film precedente), è una creatura che vive tra mondo animale e mondo degli umani. Non propriamente licantropi, i wolfwalker diventano lupi quando si addormentano, abbandonando inerme il corpo umano per scorrazzare nei boschi con altri lupi. Merlyn è una di queste creature. Folta capigliatura rossa, denti aguzzi, asessuata in apparenza, rappresenta l’ultimo baluardo difensivo di fronte alle minacce dei soldati di Lord Protector, un vero cattivo come tradizione vuole che assolda il cacciatore Bill Goodfellowe per far piazza pulita dei lupi che popolano il bosco. Bill è padre di Robyn, una ragazzina vivace che al ruolo di donnina di casa assegnatole dal costume dell’epoca preferirebbe seguire il padre con la balestra in spalla. Proprio disobbedendo al comando paterno, Robyn, come da archetipo, si perde nella bosco dove si imbatte in Merlyn, che in una zuffa la ferisce, trasformandola in una wolfwalker. Robyn finisce così per scontrarsi con Lord Protector, che non solo minaccia l’intera comunità di lupi che vive fuori dalle mura della città di Kilkenny, ma ha imprigionato molto tempo prima un’enorme lupa che altri non è che la madre di Merlyn, dormiente in una grotta nelle sue sembianze umane.

Potrebbe essere la trama di un film dello Studio Ghibli firmata da Miyazachi o Takahata: i temi legati al rapporto tra uomo e natura, all’ecologia e alla salvaguardia ambientale, al mondo vegetale e animale come emanazione di spiriti antichi, nonché la presenza di figure che fanno da tramite tra la realtà e la sua controparte fantastica (e magica), associano sicuramente i film della factory di Moore (a cominciare dallo sceneggiatore Will Collins) a quelli della casa di produzione nipponica. Ma indubbiamente l’apparato visivo e le suggestive ambientazioni nordiche costituiscono una novità, destinata al pari delle proposte di Ocelot, ad allargare (è più un auspicio) l’orizzonte culturale degli spettatori abituati all’impronta Disney, seppur maturata da quasi un trentennio dal matrimonio con la Pixar.

Con WolfWalkers – Il popolo dei lupi Moore e Stewart realizzano un film forse meno sofisticato dei precedenti a livello narrativo, più lineare sicuramente, e intellegibile a un pubblico che non necessariamente conosce fiabe e mitologie irlandesi, ideale per conquistare fette di mercato altrimenti inaccessibili. Ciò nonostante gli autori non rinunciano a un’animazione tradizionale, a un segno che rifiuta la pulizia compiaciuta e le superfici “lucidate” dalla computer graphic. E non lesinano sulle invenzioni visive, poiché se è vero che rispetto a La canzone del mare il disegno animato stenta a farsi poesia, la costruzione degli ambienti è strepitosa: alle profondità dei boschi ottenute con una magnifica palette di colori caldi in tutta la parte iniziali, raffreddati via via che il racconto procede verso lo scontro finale, quasi fossero le trasformazioni cromatiche lo specchio emotivo di Merlyn, vero spirito della natura, Moore e Stewart contrappongono la bidimensionalità degli ambienti urbani: la città è modulare, le abitazioni con i tipici spioventi del medioevo anglosassone diventano un tessuto decorativo che non tiene conto di nessuna regola proporzionale. La rinuncia al realismo diventa un gioco raffinato soprattutto negli interni, che cadono piatti in verticale anche quando l’orizzontalità del pavimento richiederebbe ben altra prospettiva. Basti vedere Robyn attraversare il palazzo di Lord Protector per rendersi conto che lo sfondo bidimensionale ci racconta di un mondo di superficie, di inutili orpelli, fondamentalmente disumano, incastonato in una città senza cittadini, in quanto abitata da schiavi inebetiti dal potere subito.

L’eroina, anzi le eroine Robyn e Merlyn, creature ibride, forti della loro diversità, fanno rivoluzione con il rifiuto di sottostare alle leggi del despota che tra l’altro produce morte in nome di Dio e con la bibbia sotto al braccio: Merlyn per difendere il suo spazio vitale e un ecosistema che resiste disperatamente; Robyn già prima per rifiutare i canoni sociali che la vorrebbero inserita in un contesto culturale che assegna alla donna il ruolo ancillare subordinato all’uomo. WolfWalkers è un racconto di resistenza e di provocazione verso forme di potere coercitivo e che, forse per questo, torna spudoratamente a quei finali concilianti per grandi e bambini come non se ne vedevano dai tempi della Sirenetta e del Re Leone, con la condanna definitiva dell’antagonista scaraventato giù da un burrone, nel ventre della Terra, ingoiato dal mondo, perché almeno nelle fiabe la Bellezza possa ottenere giustizia.

Alessandro Leone

WolfWalkers – Il popolo dei lupi

Regia: Ross Stewart, Tomm Moore. Sceneggiatura: Will Collins. Musica: Bruno Coulais. Origine: Irlanda/Lussemburgo/Francia, 2020. Durata: 103′.

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