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Berlinale 74: Assayas torna sul lockdown 2020

Se lo scorso anno uno dei film più belli della Berlinale fu Le mura di Bergamo di Stefano Savona, in questa edizione è Hors du temps – Suspended Time di Olivier Assayas a far parlare dei mesi angoscianti e inimmaginabili del primo confinamento nella primavera 2020.

Il regista di Sils Maria, Personal Shopper, Carlos o Irma Vep si affida all’alter ego Paul (Vincent Macaigne) che si è ritirato a Montabé, nella regione dell’Essonne poco a sudovest di Parigi, con Morgane (la scoperta Nine D’Urso) con la quale ha una relazione da un paio d’anni. Con lui a dividere la casa di famiglia che era stata luogo della loro infanzia, c’è il fratello Etienne con la nuova compagna Carole. Quasi tutto in quel luogo, come descritto nel lungo prologo con voce fuori campo, è rimasto quasi uguale ai ricordi, sia dentro l’abitazione sia nei dintorni. Paul è un regista che parla di fare un film con Kristen Stewart nei panni di una monaca portoghese, mentre il fratello è un critico musicale che tiene una trasmissione alla radio. Il primo ordina compulsivamente oggetti online che fa consegnare da un corriere, salvo poi lasciarli all’esterno per ore per paura del virus, contro il quale prende tutte le precauzioni. Al contrario il fratello è meno ansioso e lo prende in giro e arriveranno a litigare. Passano le giornate e le settimane, mentre la primavera avanza accompagnata dalle fioriture. Paul va a correre nella proprietà dei vicini che gli evoca tanti ricordi, gioca a tennis con Morgane nel campo semiabbandonato, fa sedute in videochiamata con la sua psicoterapista e qualche telefonata di lavoro. La pausa lavorativa è forse la cosa che lo angoscia meno (lo preoccupa di più la raccolta dei rifiuti e l’arrivo dei nuovi bidoni), anche se ammette di essere un privilegiato e di poterselo permettere rispetto a tanti rimasti senza reddito. Da lontano sente anche la figlia decenne Britt, che vive con l’ex compagna anch’ella regista (nella realtà Assayas ha davvero una figlia di quell’età, avuta con la collega Mia Hansen-Love) e il cui unico interesse è avere il permesso per guardare film su piattaforma.

Hors du temps, ma il titolo inglese è ancora più preciso, è una riflessione interessante e abbastanza autoironica sul periodo del covid e del confinamento, sul tempo sospeso, sulla riscoperta delle origini, dei luoghi e le convivenze forzate. Al netto dell’intellettualismo, dello sguardo parigino sulla campagna, del fratello un po’ antipatico, è un film onesto. Spogliato del contorno borghese, delle compagne bellissime e della mancanza di preoccupazioni vere (muore solo qualche grande nome lontano) è un film dove si possono ritrovare momenti e pensieri di quel periodo. E ripensarci con un po’ di distacco (è forse la prima riflessione cinematografica sui lockdown), sull’occasione per fermarsi, quasi un momento per ripartire da zero, ripensando al passato, ai luoghi, ai familiari, a come sono andate le cose. È anche un film sull’eredità familiare, in senso anche materiale oltre che affettivo, come mette in evidenza il finale. Ci sono l’arte (da Monet a David Hockney), la musica, i tormentoni (il pentolino bruciato) e la voce di Jean Renoir che in una vecchia intervista parla degli ultimi giorni del padre. Un film minimalista ma curato, che vive anche della verve disincantata di Maccaigne, uno degli attori a pelle più simpatici del cinema francese.

da Berlino, Nicola Falcinella

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