Il Buco, premiato a Venezia con il Premio speciale della giuria, arriva nelle sale. Uscito con oltre sei mesi di anticipo rispetto al previsto, è un film che si merita tutta la visibilità che Venezia78 gli ha riconosciuto, benché non sia mai stato concepito come un prodotto da festival: un oggetto che non voleva essere seduttivo, come la speleologia stessa. Sono parole dello stesso regista Michelangelo Frammartino, protagonista, con la sceneggiatrice Giovanna Giuliani, di un incontro pubblico a Bologna al cinema Rialto, sold out per l’occasione.
Iniziato nel 2016, il Buco è un film che ha origine sul set de Le Quattro Volte (2007), secondo lungometraggio del regista milanese, quando il sindaco del paese porta il regista ad esplorare il massiccio del Pollino. In quell’occasione Frammartino si confronta per la prima volta con l’Abisso del Bifurco, una cavità carsica così profonda (quasi settecento metri) che fatica a restituire un suono quando inghiotte un sasso o altri oggetti. Quella scomparsa, quella mancanza di risposta, mi ha dato un’emozione fortissima. Quello strano posto mi è rimasto impresso, richiamandomi a sé anni dopo, per interrogarlo e creare un progetto nel buio silenzioso dell’Abisso del Bifurco.
Così Frammartino e Giuliani si sono cimentati in un film coraggioso, che ha richiesto loro oltre tre mesi di preparazione speleologica prima di potersi addentrare nel “buco”. L’idea è quella di ricostruire la spedizione di un gruppo di speleologi che, nel 1961, scoprì quella che allora era la grotta più profonda d’Europa, nascosta nell’entroterra calabrese. Sullo sfondo la vita quotidiana passa indisturbata nel paese limitrofo, mentre le vicende di un pastore dell’altopiano (Nicola Lanza) si intrecciano all’avventura speleologica. Non mancano i riferimenti al boom economico, ma è come se ne arrivasse solo l’eco lontana dalla televisione che, nel bar del paese, mostra l’inaugurazione del grattacielo Pirelli, il più alto d’Europa.
Un film senza attori, senza dialoghi, quasi senza luce, ma d’altronde come ricordano Frammartino e Giuliani la speleologia non si può recitare. E ha a che fare con la timidezza di chi sceglie il buco.
Quindi niente attore-guida, ma solo speleologi veri, gente che non appena ha un momento libero si cala in grotta con una gioia inspiegabile. E non c’è il tempo per parlare quando si scende nell’abisso. Mentre per quanto riguarda la luce è di fatto impossibile calarsi a settecento metri con qualsivoglia lampada, così la grotta è illuminata dai soli lumini al carburo sui caschi degli speleologi.
Nel racconto del regista, la produzione del film si rivela un lavoro minuzioso che ogni giorno impegnava una squadra sottoterra per diverse ore di discesa, prima di potersi coordinare con una squadra in superficie per le riprese. Lo stesso direttore della fotografia (Renato Berta) coadiuvava le riprese dalla superficie, attraverso uno schermo collegato a un cavo in fibra ottica che gli permetteva di agire sul diaframma.
L’ultimo lavoro di Frammartino sembra confermare l’influenza esercitata sul regista milanese da Vittorio de Seta, gigante del cinema documentario che proprio sul Pollino girò I Dimenticati, nel 1959. Un ascendente che era già esplicito ne Le Quattro volte, quando Frammartino ritornava ad Alessandria del Carretto per raccontare lo stesso paese ripreso da De Seta.
Come ne Le Quattro Volte, anche ne Il Buco, sembra che la natura irrompa da ogni parte con una bellezza che sfiora il misticismo. Quest’aura di autenticità è data anche dalle scelte operate dal regista e dalla sceneggiatrice, che intendono porre il film in un territorio ambiguo, tra il documentario e la fiction.
Non ci saremmo messi a fare un film in costume se non avessimo comunque trovato una non governabilità anche in questa situazione. E’ un film che ha un forte debito con la realtà. Per questo il regista sceglie di rappresentare gli animali, o un paesaggio come la grotta, che sfuggono al controllo e alla manipolazione del set. E anche quando la macchina da presa si rivolge agli esseri umani sceglie soggetti troppo impegnati per farci caso: lo speleo è uno che deve guardare dove mette i piedi; o si rivolge a un pastore che ha passato tutta la sua vita sull’altopiano e ha una rapporto talmente intenso con la vita che non c’era modo per lui di mentire sulle cose, tanto che se una situazione non gli piaceva si ammutoliva e non c’era modo di smuoverlo.
La natura imponente de Il Buco sembra indagata con un certo gusto romantico per l’esplorazione e la scoperta geografica che secondo la Giuliani oggi è possibile solo con la speleologia, che ha qualcosa di ottocentesco, almeno nel suo desiderio di mappare un paesaggio ignoto.
Isa Tonussi
Il buco
Regia: Michelangelo Frammartino. Sceneggiatura: Michelangelo Frammartino, Giovanna Giuliani. Fotografia: Renato Berta. Montaggio: Benni Atria. Interpreti: Leonardo Zaccaro, Jacopo Elia, Denise Trombin, Luca Vinai, Nicola Lanza, Leonardo Larocca. Origine: Italia, 2021. Durata: 93′.