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Una giornata particolare

giornata10Mi sono sempre chiesto come avesse fatto Ettore Scola a orchestrare un movimento di macchina, che dall’esterno di un edificio popolare della periferia romana, setacciando tra le tante una finestra aperta sul 1938 e infilandosi in un appartamento dalla cucina, per osservare indiscretamente il risveglio all’aroma di caffè di una famiglia numerosa ed eccitata dall’arrivo di Adolf Hitler nella capitale, riusciva infine a coniugare informazione ed emozione, descrivendo il contesto culturale dell’Italia fascista. Per chi scrive il più spettacolare piano sequenza della storia del cinema (mi perdoni Orson Welles). Era una giornata particolare. Come quella che se lo è portato via a 84 anni.
Senza aggiungere parole inutili a ciò che già è stato scritto nelle ore successive al decesso di Scola, mi aggrappo al lontano ricordo di una proiezione milanese del film e che rese per me quella una giornata particolare, trasformando una attrazione in una passione sfrenata. Il cinema.
Coincidenza volle che, qualche anno dopo, in una videoteca a Gallarate, mentre con la proprietaria discutevo del film di Scola La cena, uscito da pochissimo al cinema, conobbi  Giulio Rossini. Parlammo di Scola, ritornai sul piano sequenza. Poi mi descrisse un cineclub di Varese, invitandomi a metterci il naso. Fu davvero una giornata particolare.
Un lungo arrivederci mi portò a Filmstudio 90.
Stacco – Fine del flashback.
L’avevamo scritto solo quattro giorni fa. Tira aria nuova. L’editoriale ha tenuto due giorni e si è screpolato, come si screpolano le labbra nude, esposte al gelo di gennaio. Scola se ne va, lasciandoci il suo magnifico cinema e noi, mentre già ipotizziamo di regalarci una retrospettiva, perdiamo l’orientamento e la nostra sala, che orgogliosamente avevo definito come luogo resistente e indifferente agli spifferi di stagione che raffreddano gli entusiasmi quando tira male.
portaIl 21 gennaio, per tutti i soci di Filmstudio 90, è stata proprio una giornata particolare. Scivolando tra un genere e l’altro, come attori del postmodernismo cinematografico, thriller, dramma, avventura, poliziesco e farsa, si sono mescolati per raccontare la natura del nostro spaesamento, quando ci hanno invitati a lasciare la sala Macchi, cioè il cuore pulsante di Filmstudio. E immediatamente ci siamo sentiti comprimari e subito dopo comparse, mentre gli agenti della polizia locale sigillavano le entrate del luogo che ha protetto i nostri sogni per tutti questi anni. Ventitre.
Non commento la brevissima sceneggiatura che ha portato a scrivere questo pezzetto della nostra storia (non l’ultimo certamente), o le modalità con cui questo short è stato girato e montato e la cui qualità lo escluderebbe in preselezione dai Cortisonici. Ma ritrovo subito i volti amici dei nostri soci, più di duemilacinquecento, alcuni fedelissimi e attivi, propositivi sempre, ma anche di quei malcapitati a cui abbiamo dovuto spiegare, sempre, che per entrare in sala bisogna tesserarsi, perché siamo un’Associazione Culturale che gestisce un Cineclub. Tanto martellante è stato il mantra recitato in cassa, mentre si emettevano biglietti sempre ridotti rispetto al prezzo applicato altrove, che qualsiasi nostro socio avrebbe potuto spiegare agli agenti che ci contestavano la mancanza della SCIA e dell’agibilità per locali di pubblico spettacolo, che non abbiamo ritenuto di doverli chiedere in quanto l’attività è gestita da un’associazione senza fini di lucro e rivolta esclusivamente ai soci.
Ma noi abbiamo scelto il cinema, e il cinema è straordinario, eccezionale, fuori norma, clamoroso. Proprio come il provvedimento che incerotta gli accessi alla sala, che tra l’altro non è di Filmstudio ma di Coopuf, per presunte violazioni che, mal che vada, sarebbero di tipo amministrativo, dovute cioè alla necessaria procedura burocratica che non sarebbe stata effettuata.
Fatico a sospendere l’incredulità e a dare credito al racconto degli ultimi mesi, quando la Polizia Commerciale del Comune di Varese ci chiese di chiudere la scala di collegamento tra il piano del bar ristorante e quello del cineclub, impedendo l’accesso da un locale pubblico a uno privato (lavoro diligentemente eseguito), attestando una collaborazione che non ha mai cessato di essere continua e positiva sotto ogni punto di vista.
Adesso, i sigilli ci ingabbiano fuori dalla sala che rimane un prezioso presidio culturale a Varese. Sono violenti nella misura in cui sbarrano con un linguaggio che non comprendiamo l’accesso alla fonte dei nostri desideri e disegnano dei margini in un territorio che ha descritto la libera circolazione di idee di cineasti provenienti da ogni angolo di mondo.
Per questo, prima di sentire il respiro affannoso dell’angoscia, ci metteremo in viaggio, portando Filmstudio e i nostri film nelle sale della provincia, per tenere viva l’immaginazione e re-incontrarci davanti ad uno schermo. Chiediamo non solo ai soci, ma anche ai registi, agli attori, agli sceneggiatori che in questi ventitre anni sono stati nostri ospiti di sostenerci in questa nuova avventura con il loro cinema. Da oggi saremo itineranti e ci lasceremo ospitare per raccontare una pagina inedita e davvero sorprendente della nostra storia associativa. Saranno certamente giornate particolari.

Alessandro Leone

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