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Addio a Jonathan Demme

demme-silenzioCancro alla gola. Quanti grandi e meno grandi ha portato via questo tremendo flagello? Lana Turner, Humphrey Bogart, Judy Holliday… Non bastano i soldi, i medici facoltosi, il successo, gli Oscar, il nome. La morte è come l’aria che respiri, attorno a te, non la vedi ma sai che c’è, onnipresente e pervasiva. Jonathan Demme si è spento per un tumore all’esofago, aveva settantatré anni e una statuetta dorata sulle spalle, quella vinta per Il silenzio degli innocenti (1991). Demme era un uomo film, uno di quelli che non ha un’identità precisa, ma l’acquista soltanto in relazione alla sua pellicola di maggior successo. Provate a fare il suo nome all’uomo della strada. Jonathan chi? Quello di Qualcosa di travolgente (1986) con Melanie Griffith? Quello di Una vedova allegra… ma non troppo (1988) con Michelle Pfeiffer? Oppure quello di The Manchurian Candidate (2004) con Denzel Washington? Ben pochi, oggi, riuscirebbero ad associare il suo nome a uno di questi titoli di ampia visibilità. Invece nomini il suo lavoro più importante, ed ecco che l’uomo della strada si illumina di immenso, anche lui capisce, anche lui vede e ricorda. “Più vicino, agente Starling: più vicino”. qualcosa-di-travolgente-656x440Poi una faccia tagliata, un fegato umano accompagnato da fave e Chianti, il visore notturno. Verde fluorescente. Una farfalla. Un travestito che balla davanti allo specchio. Ci sono registi che associ al mondo intero, Fellini, Kubrick, Visconti, non c’è titolo che regga, non c’è opera capace di annullare le precedenti o ridimensionare le successive. Con Demme è stato diverso. Lui ci ha provato più volte, ha fatto la commedia, il thriller, l’ultimo crepuscolare filmetto con Meryl Streep. Aveva persino giocato la carta dell’exploitation ai tempi di Femmine in gabbia (1974) prodotto da Roger Corman. Eppure niente, te lo ricordi per Il silenzio degli innocenti, forse per Philadelphia (1993) con Tom Hanks, ma alla fin della fiera è sempre alla coppia Jodie Foster – Anthony Hopskins che la memoria ritorna. uan-vedovaGià, loro due stanno assieme come un’equazione, rimandano a un concetto più ampio, quello del thriller per antonomasia, quello dell’esemplificazione. Arriva Demme, regista altrimenti discontinuo, che ha prodotto, ha sperimentato, ha mescolato, ma resta nella storia per una sola grande pellicola, un colpaccio perfetto e perfettamente congegnato degno del più machiavellico giallista. Che, tra l’altro, lui non era.

Marco Marchetti

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