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Addio Aldo Lado: un ricordo di J.J. Beeme

Film che, prima o poi, dovrete vedere

Un anno dopo la sua partenza per quel di Roma, ancora si leggeva “Angera Films” sul pulsante del portone, dirimpettaio a piazza Volta e profumato di lago e nebbia, che dava accesso, dopo una manciata di scale in pietra, a casa Lado. Lasciavo la bici nel cortile e iniziava, Ino attento ai microfoni e alla cinepresa, la nostra lunga conversazione densa di fumo di sigarette, caffè e caramelle, inframezzata di pasta alla carbonara, ricetta sua. Un appartamento zeppo di quadri, attrezzi di scena (la farfalla rituale di Malastrana…), di libri (soprattutto quelli che lui stesso editava e distribuiva) e di dvd / blu-ray che ripropongono la sua filmografia (più che in Italia, in Francia e in Germania) con dovizia di extra e featurette per cercatori a caccia di mito.

Ma decise per Trevignano Romano, il nostro amico anagrammatico e favolatore, scrittore di polizieschi e cineasta multigenere, causa la vicinanza coi figli perché, nonostante si sentisse nella pienezza delle sue forze, specie intellettuali, il principio di realtà finì per imporsi col traguardo vicino dei suoi 90 anni. Smanettava infatti tra programmi di edizione, approdato tardi nella letteratura dopo decenni, sceneggiando per grandi e piccoli schermi, e reti sociali che gli vedevano in posa con tanti amici ammiratori, e non mancava in svariati festival, riedizioni e omaggi (perfino la Cinémathèque di Langlois!) che, ben si può dire, gli avevano concesso una rinascita quando molti creatori, visuali e non, cadono nel dimenticatoio per la forsennata tirannia del nuovo, vorace Saturno del pensiero.

Circa un anno fa, consegnai a queste pagine un sintetico ritratto di Aldo, promettendomi di riallacciare appena possibile la nostra chiacchierata che, per un tempo, proseguì per telefono e posta elettronica. Sempre con Hemingway, di là del Tevere e tra le isole veneziane, guidando la sua testimonianza, la mia indagine. E ora lo ricordo nella sua scomparsa unicamente fisica, mai come figura di racconto e leggenda, già affratellata alle sue creature filmiche.
Nell’esaustiva intervista che intrattenne con Laure Charcossey ad Angera, poi pubblicata per i tipi di Le Chat che Fume (Parigi, 2020), rivisitò passo a passo il suo cinema ed io, decisamente, ve la consiglio. Lì troverete il suo divario con Dario Argento, a cui diede l’idea della camera soggettiva per il suo esordio, poi suo marchio di stile, mentre il regista romano l’ha sempre attribuito a un suo sogno provvidenziale. Capirete la sua verve di narratore inesauribile, introducendo sempre la critica sociale pur nel contesto produttivo delle B-movies, sottolineando la tensione tra rispettabilità borghese e nascoste torbidezze degli abissi umani, anticipando lo scandalo della pedofilia nel clero oppure i rischi di un giornalismo coraggioso che fruga nei loschi affari dei poteri forti.

Ma il mio sguardo è attirato dai preziosi aneddoti che illuminano la fucina creatrice dietro i suoi delitti di lago e città, giornate intere di scrittura (dalle 4:00 del mattino) avvolte da una nube di tabacco e ispirate, nel modellare i personaggi, ad amici a lui prossimi, dal suo oftalmologo al suo vicino avvocato. Questi, per esempio, aveva aperto a casa sua il Cinema Zuzu dove, per un prezzo simbolico in moneta non italiana (da rupie a banconote di Monopoly), si proiettavano dei classici a un pubblico di giuristi, donne in particolare, e Aldo fu suo naturale avventore finché, rinforzato il divieto di fumare, dovette mollare. Poi, evocando il loro incontro durante le riprese de Il conformista, confermava Aldo la sua totale adesione al metodo Moravia: se lavori fin dall’alba sulla pagina in bianco, con ferrea disciplina da operaio, le idee non smetteranno di mancare all’appuntamento.
Sotto il suo cappellino sfilacciato costellato di pin, barbato e sorridente come uno gnomo da fiaba, George B. Lewis ovvero sia Aili H. (al mondo Aldo Lado) si guardava indietro qualche volta, solo un poco, pensando di aver lasciato una piccola traccia nell’agitato quanto ingannevole oceano della cultura. Anche se ancora, si premurava di aggiungere, doveva diventare pittore!

J.J. Beeme

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