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Aldo o l’ardore narrativo

Aldo Lado ad Angera. Un regista-scrittore sul lago Maggiore

La vecchia posta mi ha portato spesso delle sorprese, di quelle belle, perché, direttamente dalla Cineteca di Rimini, mi arriva (con dedica dei suoi autori, l’illustratrice Alice Barberini e lo sceneggiatore Luca Tortolini) l’albo Ernest e Biancaneve (Orecchio Acervo, 2022), i cui gatti polidattili in splendida sfumatura di grigi immediatamente mi trasportano alla casa cubana di Hemingway. E quindi alla passione del regista Aldo Lado per il maestro di Illinois che trapela da un recente bio-documentario, realizzato da Ino Lucia e me, e imperna il libro che, sempre sul regista, sto scrivendo.
Una miniera di aneddoti l’amico Aldo, una vita che scorre – tra Fiume, Venezia, Parigi, Roma, Milano ed Angera – come un film d’avventura il cui massimo riferimento biografico, dopo un incontro azzardato a ridosso di piazza San Marco, è stato sempre Hemingway, la sua brama di vivere, la sua inarrestabile pulsione narrativa, il senso visuale che impregna ogni suo sguardo, ogni sua frase, scritta o detta che sia.

Con Aldo Lado ci affacciamo a un piccolo angolo della storia del cinema, quello degli artigiani del mestiere, e che ha prodotto opere ricche di fascino come La breve notte delle bambole di vetro, Chi l’ha vista morire? o L’ultimo treno della notte, magari per qualcuno film minori o ingenui, o in debito con i suoi maestri (Argento, Hitchcock, Polanski), ma dove aleggia sempre l’antica arte del racconto. “Per non dormire”, diremmo evocando l’uruguaiano-spagnolo Ibáñez Serrador, che gli assomiglia in termini di background cinematografico e ossessioni di genere.
Avvezzo a inciampi di censura, sceneggiature mai girate (parzialmente raccolte nel libro I film che non vedrete mai) e critiche non di rado ostili, delle vere bellezze sono comparse davanti alla sua cinepresa (Irene Miracle, Macha Méril, Dayle Haddon, Eleonora Giorgi, Barbara Bach, Corinne Cléry, Agostina Belli, Stefania Sandrelli), pure divi del cinema e della canzone melodica (Jean Sorel, Jacques Perrin, Gianni Morandi, Massimo Ranieri). Pioniere le sue collaborazioni con Ennio Morricone (ben nove titoli insieme), adattò il Moravia de La disubbidienza (lo conobbe producendo Il conformista di Bertolucci, e con questi sarebbe poi andato in una Parigi di tango ed esistenzialismo) e traspose l’abusata trilogia fantastico-scientifica di George Lucas ne L’umanoide, con tanta audacia come sfrontatezza.
Oggi i suoi titoli diventano cult per gli appassionati di cinema trash, che li cercano attraverso i circuiti più disparati, ma anche in cofanetti prodotti in Francia o Germania.

Aldo si era trasferito a Milano da Parigi, dove aveva vissuto metà della sua vita, ma per sfuggire a quel frastuono inconcepibile si era sistemato durante circa un decennio nella dolce quiete del lago Maggiore e qui, tra gustosi hummus e maccheroni finemente gratinati, abbiamo dipanato le sue molteplici storie: gli esordi a Venezia nello studio di Romano Scarpa (padre conclamato della Disney italiana), quella tessera firmata Hemingway nella natia Istria e che fa parte inscindibile del suo bagaglio personale, il suo intenso lavoro in Francia frequentando tutti i comparti dell’industria (dall’apprendistato con Litvak e Carné fino alla produzione di film come Farinelli o Marchise), i western italo-andalusi, l’aneddotico rigetto ad opera di qualche attrice (Monica Vitti: grande regina), popolari serie RAI come La pietra di Marco Polo, retrospettive e festival che gentilmente gli inviano biglietti e mappe con gli itinerari, biografie in corso e monografie presso riviste di settore (Nocturno), o la sua ultima invenzione: una casa editrice specializzata in gialli, Angera Films, che nutre con la sua torbida immaginazione da ispettore delle tenebre.

Uomo irrequieto e di valigia sempre pronta, adesso si è trasferito nei pressi di Roma, sostituendo il lago nostro per quello di Bracciano. Ma posso ricordarlo ancora qui da noi, sotto un innocente sole di aprile, salutandomi con il suo cappellino di paglia d’Italia (la primavera gli concedeva di prescindere dell’immancabile sciarpa rossa), mentre con una misteriosa borsa nera, piena di pagine in fiamme, si imbarcava nel primo battello che partiva per il Piemonte, dove macchinava nuovi delitti cartacei con il suo tipografo.

José Joaquín Beeme

Tutte le immagini sono estratti del documentario Aldo Lado ad Angera. Un regista-scrittore sul lago Maggiore di Ino Lucia e JJ Beeme (Altre Latitudini / Mottawa9 Studio, 2020).

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