RecensioniSliderVenezia 2014

Anime nere

anime locaUna famiglia patriarcale, con le sue leggi di sangue, i cerimoniali di iniziazione, le frasi smozzicate e i lunghi silenzi frementi di un’omertà antica e spietata. Una famiglia di ‘ndranghetisti che affonda le proprie radici storiche, umane e culturali nei paesaggi contadineschi dell’Aspromonte, ma che allo stesso tempo, forse paradossalmente, fa affari milionari tra Amsterdam e Milano, stringe amicizie, rinsalda alleanze, risolve vecchie diatribe riciclando il denaro che dalle stesse è messo in circolazione. Siamo in mondo che vive in un presente futuribile, pieno di controsensi, aporie antropologiche, dissonanze ambientali: i caprari calabresi convivono con le moderne auto di lusso della nuova criminalità in giacca e cravatta, i contadini analfabeti abbandonano le scuole (elementari, addirittura) per ritrovarsi a bordo di un treno che permetterà loro di intraprendere il grande viaggio della speranza verso un nord ricco e prosperoso. Fare ancora soldi, uccidere e lavare il sangue per mezzo di fantomatiche società di servizi. È quello che succede a Rocco (Peppino Mazzotta), imprenditore sposato con Valeria (Barbora Bobulova), uno che ormai da tempo, forse in preda a invisibili problemi di coscienza, cerca di far ragionare quella testa calda del fratello Luigi, trafficante internazionale di droga (Marco Leonardi): tanto l’uno è calmo e riflessivo, amante del bel vivere meneghino, della tranquillità di una famiglia almeno all’apparenza normale, tanto l’altro è caparbiamente ostinato nel conservare il codice d’onore della tribù: ripagare gli sgarbi con sgarbi ancora maggiori, scatenare una guerra tra clan rivali anziché prendere accordi tra le parti ed evitare il peggio. Sono due modi di vedere il mondo, o forse due modi attraverso i quali la ‘ndrangheta pensa di fornire la sua interpretazione della storia.anime1

Francesco Munzi, qui al suo terzo lungometraggio dopo Saimir (2004) e Il resto della notte (2008), presenta a Venezia un film complesso ma perfettamente in grado di competere con il mercato internazionale. Il soggetto è liberamente tratto dall’omonimo romanzo di Gioacchino Criaco (Rubbettino 2008, e tradotto in francese per la Métailié), anche se a tratti ricorda molto le tematiche del recente Resistere non serve a niente di Walter Siti (Rizzoli, Premio Strega 2013): la zona grigia, quel limbo misterioso in cui criminalità e finanza si ritrovano più o meno perfettamente integrate al tessuto sociale della comunità, dove si fanno affari nelle modernissime sale del potere, come lo straordinario complesso di Porta Nuova nel capoluogo lombardo, e poi si uccide a sangue freddo per le contrade dirute, buie e sporche di un anonimo paesino calabrese. In Anime nere c’è molta Italia, o meglio ci sono le numerose anime (nere anch’esse) della nostra nazione, un territorio simile a un patchwork garibaldino in cui ancora oggi si parlano lingue così diverse da rendere necessaria la sottotitolazione per almeno i quattro quinti del film. C’è speranza nella pellicola di Munzi? Neanche uno spiraglio. Non c’è redenzione per il giovanissimo virgulto della famiglia, Leo (Giuseppe Fumo), che fuggirà dagli insegnamenti tutto sommato concilianti del padre Luciano (Fabrizio Ferracane) per risalire la penisola e chiedere a Luigi di entrare a pieno titolo in quel mondo fatto di soldi, pistole e uomini d’onore. Ma non c’è redenzione nemmeno per le donne di questi delinquenti, consapevoli e conniventi con il crimine, né per quelle nerovestite del sud, che abitano case vecchie e piene di immaginette sacre, né per quelle più integrate del nord, che fingono di non vedere, di non sapere, di non sentire. Per poi purificarsi la coscienza nella grande ipocrisia del meridione mafioso, la chiesa con i suoi ceri, le preghiere e i funerali officiati con grande compunzione.

anime2Mentre la macchina da presa di Munzi si sposta nello spazio di un paese tanto grande ma tanto piccolo, i volti che lo animano cambiano forma e aspetto, come gli scenari, i paesaggi e le abitudini di vita: dai grattacieli alle campagne, dalle donne terrose, carnali e bellissime della Calabria, che chissà perché conservano sempre un qualcosa di caprino, di intimamente animalesco, a quelle preraffaellite del settentrione, immerse in questi appartamenti signorili fatti di broccati, cuscini ed eleganti cene con gli amici. È la criminalità che allunga le mani sulle città del nord o è piuttosto il nord che si sta meridionalizzando? Forse entrambe le cose, in un processo di mutazione del concetto di criminalità (e di denaro) che parte dalle aree sottosviluppate per divenire, quasi senza soluzione di continuità, l’espressione di un mondo politico in cui il capitale detta tutte le regole.

Marco Marchetti

Anime nere

Regia: Francesco Munzi. Soggetto: Gioacchino Criaco. Sceneggiatura: Francesco Munzi, Maurizio Braucci, Fabrizio Ruggirello. Fotografia: Vladan Radovic. Montaggio: Cristiano Travaglioli. Musica: Giuliano Taviani. Interpreti: Marco Leonardi, Peppino Mazzotta, Fabrizio Ferracane, Barbora Bobulova, Giuseppe Fumo. Origine: Italia, 2014. Durata: 103′.

 

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