Berlino 2015

Berlinale 65: Orso d’Oro a Jafar Panahi

Jafar Panahi, il regista iraniano cui il regime ha proibito di girare film, ha vinto l’Orso d’Oro in contumacia al 65° Festival di Berlino. Un premio dal berlino premioforte significato politico per un film molto bello, probabilmente non il migliore di un concorso d’alto livello, ma comunque meritevole. Sul palco a ritirarlo, in lacrime per la commozione, la nipote Hana che è anche una delle interpreti. Taxi è il suo terzo lungometraggio girato di nascosto e lo vede ne panni di un tassista che gira per Tehran, caricando diversi passeggeri e raccontando tra ironia e denuncia la situazione dell’Iran. Panahi ha avuto anche il Premio Fipresci della critica, a conferma di un consenso largo. Il regista, già Leone d’Oro a Venezia per Il cerchio nel 2000, aggiungerà l’Orso a una nutrita collezione di premi in tutti i festival maggiori. Resta la curiosità: in Iran sarà dato rilievo alla notizia e a un artista che dà lustro alla sua patria?

Al termine di un’edizione eccellente, con il miglior concorso da diversi anni a questa parte, la giuria presieduta da Darren Aronofsky ha ammesso le difficoltà nel distribuire i premi e nel riconoscere tutti i buoni film: per due volte è ricorsa agli ex equo e ha in qualche modo incoronato nove pellicole su 20 in gara. Pur con una ripartizione giusta e abbastanza condivisibile, sono rimasti fuori nomi eccellenti come Terrence Malick (con il bellissimo Knight of Cups), Peter Greenaway (Eisenstein in Guanajuato) e Werner Herzog (Queen of the Desert). Fuori dai premi anche l’Italia, nonostante gli applausi ricevuti e una buona accoglienza per Vergine giurata di Laura Bispuri: un buon film di debutto che ha ENTERTAINMENT-GERMANY-FILM-FESTIVAL-BERLINALEdimostrato di poter stare in un concorso tanto importante, ma un premio sarebbe forse stato troppo. L’Orso d’Argento Gran Premio della Giuria è toccato al cileno Pablo Larrain, che era il grande favorito con El club: “spero che nel mondo non debbano più morire persone nel nome di Dio” – ha detto dal palco. Migliori registi a pari merito due cineasti molto diversi tra loro: il romeno Radu Jude per il potente affresco storico Aferim! e la polacca Malgorzata Szumowska per Body.
Come migliori attori la giuria ha scelto di premiare Charlotte Rampling e Tom Courtenay, quasi unici interpreti dell’intenso dramma familiare della terza età 45 Years dell’inglese Andrew Haigh. L’Orso d’Argento Alfred Bauer per l’innovazione ha premiato il guatemalteco Ixcanul Volcano dell’esordiente Jayro Bustamente: una storia al femminile di povertà, dignità, spiritualità, soprusi e riscatto in un villaggio indio sulle pendici di un vulcano. Meritatissimo l’Orso per la sceneggiatura al documentario El boton de nacar dell’altro cileno Patricio Guzman, anche premio della giuria ecumenica. Un riconiscimento a un cineasta di lungo corso, visionario e coraggioso, ma anche un premio al cinema del reale e l’attestazione di quanto la scrittura sia importante nel documentarismo. Orsi per il contributo tecnico a pari merito alla fotografia di due film: il tedesco Victoria di Sebastian Schipper, prodigioso pianosequenza di oltre due ore in una Berlino notturna; Under Electric Clouds di Aleksej German jr., attualissimo ritratto di una Russia tormentata dove soffiano venti di guerra (avrebbe meritato molto di più, forse persino l’Orso d’Oro, mentre gli è stato riconosciuto il solo valore visivo). Il trionfo latinoamericano è stato completato dal premio per la migliore opera prima a 600 millas del messicano Gabriel Ripstein, figlio e nipote d’arte, presentato nella sezione Panorama.
La presenza italiana numerosa e di buon livello (soprattutto gli esordi Short Skin di Duccio Chiarini e Cloro di Lamberto Sanfelice nella sezione Generation e il bellissimo Torneranno i prati di Ermanno Olmi su tutti) ha ricevuto solo il premio Fipresci per la sezione Forum a Il gesto delle mani di Francesco Clerici.

da Berlino, Nicola Falcinella

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