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Berlino 64: Nymphomaniac

Una lezione di pesca con la mosca, di psicologia dei pesci, su Bach e la musica polifonica, su come si abituano i bambini alla separazione tra i genitori, sulle abitudini sessuali dei leopardi; cosa significa se una persona inizia a tagliarsi le unghie dalla mano destra o dalla sinistra. L’attesissimo Nymphomaniac Volume I (una versione di poco più di due ore e mezza di quella già uscita in Francia) di Lars von Trier è tutto questo e molto nymphomaniac von trieraltro, spiazza rispetto alle attese, e sicuramente non è un film porno. Certo, scene esplicite ce ne sono diverse, c’è quasi una carrellata di inquadrature di organi maschili e non si risparmia su nulla. Però queste parti sono una netta minoranza dentro la confessione di Joe (Charlotte Gainsbourg) sui suoi trascorsi di dipendenza sessuale. Si inizia nel silenzio notturno di una pioggia mista a neve tra mura di periferia. Per terra c’è un corpo. Poco dopo compare un uomo. A terra c’è una donna. All’improvviso entra la musica di “Führe mich” dei Rammstein e l’uomo, Seligman (Stellan Skarsgard) si avvicina alla ferita Joe, la soccorre e la porta in casa per una tazza di tè. È l’inizio di una confessione hard ma anche tenera e ironica. Il racconto di lei è quasi una biografia sessuale, da quando aveva due anni, a quando perse la verginità, il primo amore Jerome (Shia LaBeouf), le gare con la miglior amica a chi seduce più uomini sul treno e così via. Grande importanza ha il tormentato rapporto con il padre (Christian Slater) fino alla malattia di lui. Tra le varie fasi attraversate, anche quella di incontrare dieci uomini al giorno per un’ora ciascuno, con scadenze fisse e ognuno con le proprie abitudini e manie. Molto divertente è il lungo episodio con un uomo sposato che lascia la moglie per lei, ma la consorte abbandonata (Uma Thurman travolgente) li raggiunge con i tre figli: ne esce un confronto divertente, ironico e arguto sulla famiglia. Nymphomaniac è una pellicola naturalmente sul sesso, ma soprattutto sul rapporto con il proprio corpo, con gli altri, con l’amore, sui processi di crescita e sulle relazioni familiari. Come sempre Von Trier cerca di colpire, di spiazzare e qui ci riesce benissimo, con una storia che cambia di tono parecchie volte, che sorprende e fa attraversare allo spettatore parecchi stati d’animo. Un film riuscito, tra i lavori migliori di una carriera d’alto profilo.

historiaPoco interessante invece, in concorso, l’argentino Historia del miedo debutto di Benjamin Naishtat. In una zona di Buenos Aires dove vengono appiccati fuochi, si svolgono tante storie in contemporanea, alcune legate tra loro, altre slegate. All’inizio un elicottero sorvola l’area e una voce ingiunge agli abitanti di sgomberarla. Un ragazzino offende il padre dandogli del segaiolo mentre giocano a calcio, una coppia di adolescenti vaga per la città, un’anziana domestica risponde al citofono agli scocciatori, un giovane si fa dare un passaggio in auto verso il parco da una guardia giurata, un’altra coppia non sa spegnere l’allarme della casa degli zii, madre e figlio vanno in auto fuori città e si trovano sulla strada un uomo nudo dallo stano comportamento. Sono solo alcuni degli episodi che si alternano con molta rapidità in un film breve (solo 78 minuti) all’insegna della stranezza o della quotidianità banale, in sottofondo ci sono rumori che evocano timori e alcuni inserti vorrebbero tenere su la tensione. Se non fosse per il titolo fin troppo chiaro, il legame tra le azioni e il senso generale, a parte una generica sensazione di disagio e preoccupazione, resterebbero sospesi. Un film che vorrebbe essere “da festival” ma si rivela debole e quasi inconcludente.

da Berlino, Nicola Falcinella

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