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Class Enemy

In una classe all’ultimo anno di un liceo sloveno arriva un nuovo insegnante di tedesco. La professoressa di ruolo – che negli anni ha costruito con i ragazzi un rapporto quasi di amicizia, fatto di comprensione, pazienza e ascolto – sta per andare in maternità. Il suo sostituto si dimostra da subito tutto spostato sul versante del rigore, della disciplina e di una severa franchezza. Gli studenti reagiscono al cambiamento con un’ostilità crescente. Quando una di loro deciderà di togliersi la vita l’ostilità si trasformerà di colpo in rabbia. Accusando il nuovo professore di essere il responsabile della morte della loro compagna, gli studenti faranno crescere lo scontro fino ai modi della rivolta.

studenti

Class Enemy, vincitore della Settimana della Critica a Venezia 70, è un esordio folgorante. Rok Bicek, classe 1985, mette in scena un’opera che sorprende per la maturità dello sguardo, per il rigore dell’impianto narrativo e per la sicurezza delle scelte stilistiche.
Probabilmente, il segno più evidente della sua chiarezza di intenti sta nella scelta di girare tutto il film all’interno della scuola. Solamente nella sequenza finale la camera si sposta in esterno. Ma è un esterno irreale, impastato coi colori del sogno e della profezia. Per il resto Bicek si fa bastare quell’unico scenario, coi suoi corridoi e le sue aule. E’ una scelta meditata, che inchioda l’istituzione scolastica al suo scopo primario: formare degli individui consapevoli, in grado di affrontare il mondo esterno. Non importa che cosa ci sia fuori, ognuno ha la propria storia e ogni situazione è differente. Da questo punto di vista, il suicidio di una delle studentesse è allora poco più che il fattore scatenante della vicenda. E’ qualcosa con cui si deve fare i conti. Una prova, verrebbe da dire. Per questo accade fuori dall’edificio scolastico. Per questo non viene mostrato e per questo non se ne conoscono le ragioni. Non importa. Non è l’azione che conta, è la reazione.
Chiuse in un spazio ristretto, Bicek lascia che le forze in campo si misurino a vicenda, confrontandosi con i propri limiti e le proprie contraddizioni.robert
In Class Enemy ci sono due metodi educativi messi a confronto. Il punto di partenza è dato dal tentativo di instaurare un rapporto paritario con gli studenti, attraverso al tolleranza ed il perdono. Ma, forse per la sua giovane età, Bicek sa bene che il rischio che si corre è quello di sostituire l’autorità con l’amicizia. Che la propensione all’ascolto, quando non è accompagnata dalla capacità di essere fermi, può portare a privare i propri studenti del senso di responsabilità, di renderli refrattari alla disciplina e ostili a qualsiasi manifestazione di autorità. Con queste premesse l’arrivo nella classe del nuovo insegnate di tedesco, severo ed esigente, non può che viaggiare sui binari di uno scontro annunciato.
Eppure il film si tiene sapientemente al riparo dalla tentazione di fare dell’insegnante una vittima. Portando in scena una figura che crede fermamente nella propria esperienza e nelle proprie convinzioni – ma che allo stesso tempo non smette di interrogarsi, di cercare un dialogo e di ammettere i propri errori – Bicek rinuncia alla comodità della metafora per spingersi nel terreno più difficile dell’investigazione. Non offre delle tesi preconfezionate ed intuibili già dalla prima inquadratura, ma va piuttosto alla ricerca di un modo per comprendere.
In Class Enemy non ci sono dati certi, i punti di vista e le ragioni cambiano continuamente. Bicek fa esplodere una bomba e poi si butta nel centro dell’esplosione, portandoci con sé. Sarà grazie alla sua capacità di mantenere sempre uno sguardo lucido se, alla fine, sapremo trovare tra le ceneri un qualche tipo risposta.

Matteo Angaroni

Class Enemy

Regia: Rok Bicek. Sceneggiatura: Rok Bicek, Nejc Gazvoda, Janez Lapajne. Montaggio: Rok Bicek, Janez Lapajne. Interpreti: Igor Samobor, Natasa Barbara Gracner, Tjasa Zeleznik, Masa Derganc. Origine: Slovenia, 2013. Durata 112′.

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