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Fai bei sogni

fai-bei-sogniLo dico subito, è il miglior Bellocchio degli ultimi anni, con questo film torna ai vertici del 2006, l’anno in cui uscirono il bellissimo Il regista di matrimoni e la sua summa bobbiese Sorelle mai.
Partiamo dall’inizio e contemporaneamente dalla fine, la prima e l’ultima scena sono straordinarie e vanno raccontate: il film inizia con mamma e figlio che ballano un twist che sembra non finire mai, una scena lunghissima, bellissima e piena di vita, che proprio per la lunghezza ti fa subito pensare che c’è qualcosa di troppo. Il ballo diventa quasi estenuante, si capisce subito che qualcosa che non va. Nella scena finale invece Bellocchio mette in scena sempre loro due, sempre nello stesso appartamento borghese, quasi la stessa inquadratura, e ci racconta di un “nascondino” in cui il bambino conta fino a dieci e la mamma si nasconde. Si nasconde fin troppo bene al punto che il bambino non riesce più a trovarla: “mamma mamma, dove sei? Così non è più divertente”. Ecco cosa fa il gigantesco cinema di Bellocchio: il tempo, il tempo di una scena. È enorme la sua capacità di “tenere” una scena così a lungo da farci scuotere, sommuovere, agitare, commuovere. Questo trasforma una scena o una semplice fai_sogniinquadratura in cinema.
La trama è quella del libro omonimo di Gramellini: a nove anni Massimo perde la mamma per un infarto improvviso, o almeno così gli dicono i parenti. Dopo un’infanzia solitaria e un’adolescenza difficile diventa un giornalista affermato ma continua a convivere con il ricordo lacerante della madre scomparsa. Non c’è mai linearità del racconto anche se vediamo Massimo bambino, poi adolescente e con un salto temporale lo ritroviamo giornalista trentenne (interpretato da Valerio Mastrandrea), fino a quando diventa “famoso” per una commovente risposta a un lettore che scriveva di voler uccidere la madre.
Rifacciamo un salto agli inizi per provare a scrivere qualcosa di sensato su questo film, e allora torniamo al 1965 al folgorante esordio di I pugni beisogniin tasca, là la madre era gettata nel burrone, qui è santificata. Sono due estremi attraverso i quali Bellocchio prova a scoprire qualcosa che lo riguarda. Infatti questo è un film assolutamente di Bellocchio, non è una derivazione del libro di Gramellini: il principale atto di coraggio del regista è quello di prendere il romanzo e smontarlo (il film è sceneggiato dal regista insieme ad Edoardo Albinati e Valia Santella) per riempirlo di strati con le sue tipiche ossessioni: la famiglia con la madre ovviamente, ma anche il padre assente, la religione come sempre, la morte, la rinuncia, la Storia, la rabbia, la nostalgia. Tutti temi che ha trattato più volte in cinquant’anni di carriera.
Bellocchio utilizza saggiamente il romanzo di Gramellini un po’ come fa con il repertorio (il grande Torino in tv ma anche allo stadio, Canzonissima, i clamorosi tuffi di Dibiasi e Cagnotto che assumono un significato “altro”), sono degli strumenti per raccontare un’Italia normale alle prese col suo senso popolare. Come lo sono anche le “ovvietà che sconvolgono” della straziante risposta alla lettera, come dice un’amica allo stesso Massimo: sono cose ovvie, banali, quasi ridicole, probabilmente mediocri, sicuramente retoriche, ma forse irresistibili.
Fai bei sogni è talmente pieno di scene memorabili che è difficile ricordarsele tutte, basterebbe “L’Ave Maria” che diventa “Nun me lassà” per capire la grandezza del film e tutto quel senso di “popolare” che arriva addirittura a sostituire la preghiera. Il discorso sul giornalismo è altrettanto importante e si inserisce sempre in questo discorso di popolarizzazione: è chiarissimo il disgusto di Bellocchio verso un mondo del giornalismo alla ricerca della notizia a tutti i costi, gli fa orrore l’ipocrisia, la retorica e il buonismo ormai imperante. Da questo punto di vista è immensa la telefonata cinica del dell’amico giornalista dopo il grande successo della risposta alla lettera: “il Libro Cuore, che tra l’altro è un capolavoro, a te ti fa una pippa!”.
Immancabile la religione, qui sintetizzata da un’indimenticabile comparsata dell’ormai fedele Roberto Herlitzka che interpreta un prete-astronomo che riconduce il mistero dell’Universo a quello della Fede. Spiazzante e meravigliosa è l’unica battuta che viene concessa alla madre della lettera, una grandiosa Piera Degli Esposti che dopo che il figlio le ha letto la risposta alla sua lettera, gli dice sprezzante e insensibile al miele gramelliniano: “e ora cosa dovremmo fare? Abbracciarci?”. È indiscutibilmente un colpo di genio.


Massimo adulto è forse meno autentico, Mastrandrea a volte sembra finto, ma è quello il gioco di Bellocchio: il mondo è finto, il giornalismo è ancora peggio e allora i personaggi lo sono altrettanto, non ho creduto un secondo alla Bejo medico, ma cosa importa? Non è un film realista, soprattutto nella parte “attuale”: cosa c’è di vero nel fotografare un bambino a Sarajevo che gioca mentre dietro c’è il cadavere della madre in un lago di sangue? Cosa c’è di vero in una festa ultraborghese con balli sfrenati? Cosa c’è di vero nel sottobosco delle ruberie di tangentopoli? Probabilmente nulla, l’unica verità è la morte, quella della madre ovviamente o quella dei giocatori del Torino a Superga, scena magnifica in cui anche Massimo adulto sembra vivere in un qualcosa che assomiglia a una verità che ha cercato o rimosso per trent’anni.
Per chiudere c’è un’altra frase del film che mi è rimasta nella mente: “il se è dei falliti, nella vita si diventa grandi con i nonostante”. Ecco, questo è un grande film nonostante Gramellini, è proprio un grande film di Bellocchio.

Claudio Casazza

Fai bei sogni

Regia: Marco Bellocchio. Fotografia: Daniele Ciprì. Montaggio: Francesca Calvelli. Musiche: Carlo Crivelli. Interpreti: Valerio Mastandrea, Bérénice Bejo, Fabrizio Gifuni, Barbara Ronchi, Miriam Leone, Emmanuelle Devos, Piera Degli Esposti, Roberto Herlitzka. Origine: Italia/Francia, 2016. Durata: 134′.

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