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Filmmaker 2018: De Sancto Ambrosio, con gli occhi al cielo

desanctoaÈ un gesto intimo e sacro alzare gli occhi al cielo, una confessione personale di fragilità che ci fa minuscoli davanti all’incommensurabile vastità dell’ignoto e spiazzati dal silenzio che ci interroga sull’onniscienza di uno sguardo superiore e oscuro. Antonio Di Biase in De Sancto Ambrosio, presentato in concorso a Filmamaker Festival 2018, ingaggia una sfida tra terra e cielo per interposte comparse, eleggendo la skyline di Milano a confine arbitrario tra due mondi contrapposti ma complementari. Si parlerà di approccio entomologico e di macchina da presa trasformata in microscopio, strumento di osservazione che marca una gerarchia precisa tra autore e soggetti/oggetti, ma anche di vojeurismo compiaciuto e ossessivo. Invece c’è un motivo che fa da pilastro al film di Di Biase e che, riflettendoci, disinnesca frettolose combinazioni critiche: il punto di vista. Intendendo, ancora prima dell’occhio autoriale, il posizionamento, la collocazione scelta per osservare, il campo base che il filmmaker elegge a epicentro del suo racconto, ovvero quel campanile della Basilica di Sant’Ambrogio che per i milanesi è simbolo della cristianità meneghina forse più del Duomo, così inflazionato dall’autocelebrazione del selfie. Sant’Ambrogio presente nell’assenza, è soggettiva desanctosenza controcampi, evocata dalla successione dei campi medi che compongono la metrica di quest’opera corsiva e maiuscola insieme, oggetto di un discorso che sembra gettato come un bozzetto e che via via stratifica significati da polittico laico. Lungo i tracciati diagonali del quadro immobile la vita conversa con lo spettatore con il bagaglio di suoni e voci che non hanno nulla di spettacolare e sensazionalistico: su qualche tetto si lavora, su alcuni balconi si ammazza il tempo, ma non è una finestra sul cortile il campanile, ma il fulcro sacro di un orologio che cerca le armonie del tempo. Giocano i bambini, celebrano nozze gli innamorati, si congedano i defunti, comitive di turisti emergono e scompaiono dal e nel fuori campo, lasciando in prospettiva sonora echi di passaggi effimeri. Eppure molto di ciò che transita rimane di questo torrente che corre negli argini delle classiche quattro stagioni: i segni nella neve che si fanno ideogrammi, il gag di un uomo che sorregge la moglie fotografa in piedi su una colonnina dalla base superiore arrotondata, l’altra comica (o quasi) in profumo di nouvelle vague di un signore distinto che si ferma appena prima di girare l’angolo per spiare una bimba che sembra partorita dalla primavera e che in seconda battuta prenderà per mano; un’altra bambina sui pattini che dribbla il nonno. Piccolissimi dettagli di esistenza in rima, che prendono forza e coraggio nonostante la macchina da presa schiacci dall’alto. Te lo insegnano nelle accademie mostrandoti Citizen Kane come declassare un personaggio, come prevaricarlo accentuando la forza di gravità che lo tiene vincolato al pavimento.


Ma questa dialettica tra su e giù ideata dal giovane regista con un occhio al cinema sperimentale, prima di diventare insopportabilmente filosofica, si lascia affascinare dall’indifferenza dei soggetti inquadrati, dalla loro orizzontalità di traiettoria e di sguardo, anche quando il soggetto è fermo, seduto su una sedia con gli occhi chiusi, a tratti turbato da un ghigno che non si capisce se sia sofferenza o risata, o un’implorazione che forse, presto, porterà gli occhi al cielo per un’interrogazione silenziosa. Rispettosamente tenuta fuori campo.

Alessandro Leone

De Sancto Ambrosio

Regia, sceneggiatura e fotografia: Antonio Di Biase. Montaggio: Antonio Di Biase, Giovanna Cicciari. Riprese sonore: Simone Paolo Olivero. Montaggio del suono: Tommaso Barbaro. Produzione: Start. Origine: Italia, 2018. Durata: 50′.

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