Il cinema di lingua italiana è stato protagonista alle 56° Giornate di Soletta, la rassegna annuale del cinema svizzero che nelle scorse settimane è andata online al pari di tante altre manifestazioni analoghe. Spicca il film scelto per l’apertura, Atlas del ticinese Niccolò Castelli, che è stato mandato in onda in contemporanea sulle reti delle tre aree linguistiche, Rsi La2, Srf 2 e Rts 2, riunendo più di 95.000 spettatori. A questi si sono uniti i 30.000 che hanno acquistato i biglietti per vedere sul sito i film del programma. Il Prix de Soleure è stato assegnato al buon Mare (dal nome della protagonista, una donna di Dubrovnik che attraversa una crisi esistenziale) della svizzera d’origine serba Andrea Staka, già nota per aver vinto il Pardo d’oro a Locarno nel 2006 con il suo esordio Das Fräulein. Il premio Opera prima è andato a Stefanie Klemm per Von Fischen un Menschen, mentre il Prix du public è andato a Beyto di Gitta Gsell, che aveva già vinto lo stesso premio nel 2010 con Bödälä – Dance the Rhythm.
Il secondo lungometraggio di Castelli, dopo Tutti giù del 2011, conferma la crescita della produzione del cantone di lingua italiana nell’ultimo decennio con titoli come Sinestesia di Erik Bernasconi o Love Me Tender di Klaudia Reynicke, sebbene poco noti in Italia. Atlas parte da un fatto di cronaca accaduto nel 2011: un gruppo di alpinisti svizzeri diretti sull’Atlante fu coinvolto nell’attentato di un terrorista islamista e solo una di loro sopravvisse. Proprio ella, chiamata Allegra e impiegata come controllore delle ferrovie, è la protagonista della pellicola, interpretata da Matilda De Angelis. Il film inizia con due coppie di amici che scalano sulle Dolomiti e progettano di andare a scoprire le montagne del Marocco. Si procede poi con un’alternanza di piani temporali, prima e dopo l’esplosione che le ha causato gravi ferite e difficoltà motorie che rendono difficile il ritorno alla vita precedente. La giovane è chiusa in se stessa e un giorno sull’autobus osserva un uomo arabo con lo zaino che le fa scattare una paura incontrollabile. Castelli con un andirivieni nel tempo fatto di scene brevi e un montaggio veloce (di Esmeralda Calabria) riesce a rendere immediato il cambiamento della protagonista da carismatica e impetuosa a trattenuta e timorosa. In più l’incontro casuale la riprecipita nei fantasmi del senso di colpa per essere stata l’unica scampata e nell’ansia che un attentato possa verificarsi anche nella tranquilla Lugano. Allegra si sente in pericolo e in balia di qualsiasi evento improvviso anche dentro il piccolo mondo in cui era abituata a vivere. Il regista riesce a rendere bene questo percorso in bilico per cercare di recuperare se stessa e tornare alla vita precedente. C’è un senso di insicurezza costante e una paura dell’altro che riporta alla mente i periodi successi all’11 settembre o agli attentati a Parigi, Nizza o Bruxelles, ma pure è molto vicina al vissuto di questi mesi alle prese con il coronavirus e il distanziamento tra le persone. Molto bella la scena più coinvolgente con l’inserimento del flash-back con il ricordo dell’esplosione. Il film è prodotto dalla Imago Film del regista e produttore Villi Hermann, che ha anche un cameo come passeggero del treno. Atlas è un film che meriterebbe attenzione e distribuzione in Italia e non solo per la presenza dell’ormai lanciatissima, e qui molto brava e calata nella parte De Angelis, e di Neri Marcorè in un ruolo di supporto. È una pellicola ben diretta e gestita, anche in tutti gli aspetti tecnici, e attuale e universale nei temi.
È stato invece il film di Natale in tv, a causa dell’impossibilità di uscire nelle sale, Il demolitore di camper di Robert Ralston, tratto dal romanzo di Luca Saltini e prodotto da Amka Film. Una commedia drammatica con un tocco surreale e improbabile e un finale da favola natalizia, periodo nel quale è ambientato. È la storia del fumettista Leonardo e dell’incontro fortuito con il meccanico Dino, suo compagno di adolescenza. Il primo, timido e asociale, immerso nel suo mondo (detesta il personaggio protagonista delle strisce che illustra e vorrebbe disegnare altro), vive con la nonna Rina (una deliziosa Milena Vukotic, affettuosa e comprensiva con tutti), che fu maestra proprio di Dino, la cui ricomparsa desta però brutti ricordi nel nipote. Un film per famiglie che diverte e non banalizza i temi che tocca, come la gestione dei figli durante una separazione o il bullismo. Se qualcuno può vedere somiglianze di personaggi con Zoran il mio nipote scemo, il filo è Daniela Gambaro, co-sceneggiatrice di entrambi.
Tra i documentari spicca W – Ciò che rimane della bugia di Rolando Colla, sceneggiatore e regista d’origine italiana ormai di lungo corso, noto per la serie di corti Einspruch e i lunghi Le monde à l’envers – Una vita alla rovescia, Oltre il confine, Giochi d’estate, Sette giorni fino a Quello che non sai di me. Un film costruito su quattro “storie”, più prologo ed epilogo, che ruotano intorno a un personaggio sorprendente e sconcertante. La prima storia è quella di Binjamin Wilkominski, nato a Riga nel 1939, sopravvissuto ad Auschwitz e arrivato bambino a Basilea. Nel 1995 l’uomo pubblicò un’autobiografia dal titolo Frammenti sui suoi primi 9 anni di vita: la guerra e la shoah visti dalla prospettiva di un bambino. Il libro riceve premi e l’autore viene chiamato nelle scuole, diventa protagonista di documentari e testimone dell’Olocausto. La seconda storia inizia nel ’98 quando lo scrittore svizzero Daniel Ganzfried è incaricato di scrivere un ritratto di Wilominski e scopre che quel nome non corrisponde a nessuno. Nelle ricerche entra anche lo storico Stefan Mächler, che risale all’identità di Bruno Dössekker, che era stato un bambino traumatizzato con una storia tormentata e tristissima di abbandoni. Il documentario è molto ben costruito come indagini su diverse piste in parallelo, senza inseguire giudizi, ma rendendo l’estrema complessità del personaggio. È la storia di un’impostura ma non soltanto, è un racconto fatto di tante ambiguità e diverse assurdità. Colla sfrutta al meglio le immagini d’archivio di diversi periodi e incredibili interviste e riprese dello stesso Dössekker, integrando con animazioni in bianco e nero alcuni passaggi.
Tra i documentari un’altra produzione ticinese anche Miraggio di Nina Stefanka, che incrocia cinque storie di immigrati dall’Africa occidentale arrivati in Italia. Tra accampamenti e centri per l’immigrazione, a Roma e diverse città del sud, i migranti aspettano i permessi, cercano di sopravvivere, si accorgono di non trovare quel che si aspettavano. Vivono in un limbo che si trasforma facilmente in inferno. Un documentario ben fatto, niente di particolarmente nuovo, ma lo dice bene, senza retorica, rende l’idea del titolo, del miraggio che hanno dell’Italia e dell’Europa. Storie che meritano di essere ascoltate e riascoltate e soprattutto non essere date per scontate o passare nell’indifferenza.
Nicola Falcinella