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Green Book

green_book_filmEccolo un film che mette d’accordo tutti. Ogni tanto ne spunta uno e porta in sala le famiglie, trova la benevolenza della critica, incassa un paio di Oscar, riflette sul presente senza esagerare con le prediche e i moralismi. Green Book è il film che premia il pubblico, che lo gratifica con una storia edificante e per di più ispirata a eventi realmente accaduti e, ciliegina sulla torta, è stato premiato come Miglior film agli Oscar 2019. Il film di Peter Farrelly – sì, proprio il regista che con il fratello Bobby aveva inaugurato una nuova stagione di commedie al limite del demenziale con Scemo & più scemo Tutti pazzi per Mary – esce nelle sale con un tempismo perfetto, come fu per Moonlight un paio di anni fa, condividendo con il film di Berry Jenkins il tema del conflitto razziale, l’attore Mahershala Ali, la conquista dell’Oscar, appunto. Si disse all’ora che l’Academy aveva privilegiato nel palmares film afroamericani o che trattavano temi che toccavano l’irrisolto problema dell’intolleranza, si torna ad affermarlo ora. Diciamolo, Green Book è un gran bel film, ha tutto quel che serve dosato al punto giusto, ineccepibile prodotto di mestiere (che non fa male), capace di emozionare e di farsi ideologico senza alcuna pedanteria. Uno di quei film che diventeranno classici e faranno la felicità degli insegnanti e di chi programma rassegne a tema.
greenbook-1aLa trama è nota e si dipana nel 1962: il buttafuori Tony Lip (Viggo Mortensen), un italoamericano ignorantotto e greve, dopo essere rimasto senza lavoro, diventa l’autista da Don Shirley (Mahershala Ali), un dei pianisti più apprezzati nel mondo del jazz, impegnato in trio in un tour negli Stati più chiusi e razzisti d’America. Ovviamente stiamo parlando di un viaggio in luoghi dove vige ancora una separazione di fatto tra bianchi e neri, una sorta di apartheid che costringe i neri a frequentare solo certi locali e addirittura alcune strade secondarie. Per questo Tony si fa guidare dal Green Book, o meglio, dal libro “Negro Motorist Green Book”, una mappa che Shirley gli ha consegnato e che indica distributori di carburante, motel e ristoranti in cui gli afroamericani sono ben accetti. Il duo, che potrebbe ricordare un A spasso con Desy al contrario, impara a conoscersi, a vincere i rispettivi preconcetti, a misurarsi con lo strisciante razzismo, depurando le rispettive esistenze dalle mediocrità.
Il film ha una partitura che procede senza strilli, seguendo un copione abbastanza prevedibile, che però non costringe il regista a perdersi negli stereotipi, merito anche dei protagonisti, capaci di disegnare due personaggi umani, niente affatto granitici, al contrario, soprattutto Tony, disposto a lasciarsi trasformare dall’incontro che non ti aspetti più di quanto non faccia Don, damerino tutto d’un pezzo dall’educazione impeccabile ma che in realtà cela più di una fragilità dietro la maschera. L’italoamericano invece eredita il macchiettismo del dago, che potrebbe anche infastidirci, noi italiani, anche se Mortensen ci mette del suo (e lo fa bene) per ammorbidire gli stereotipi. Va da sé che il confronto sia a tratti comico, che rievochi addirittura la relazione tra opposti di Un biglietto in due con l’indimenticata e ingombrante John Candy e uno strepitoso Steve Martin.


Suggestioni, certo, niente più, perché il film di Farrelly lentamente smette di essere una commedia on the road per trasformarsi in amara descrizione di un contesto sociale che ancora non sentiamo superato. Non è un film d’archeologia sociale ma richiama l’attenzione su temi più che mai vivi. Eppure non è questo che rimane di Green Book, perché in fin dei conti il cinema questi temi li ha declinati in tutti modi. Il piacere è forse nella delicata rozzezza di Tony che obbliga Don a mangiare del pollo fritto, o nei generosi medicamenti di Don che invitano Tony a investire nel cervello. Poco o tanto, Green Book arriva senza la pretesa di essere un capolavoro. Il resto lo fanno i critici.

Vera Mandusich

Green Book

Regia: Peter Farrelly. Sceneggiatura: Nick Vallelonga, Peter Farrelly, Brian Hayes Currie. Fotografia: Sean Porter. Montaggio: Patrick J. Don Vito. Musiche: Stu Goldberg, Kris Bowers. Interpreti: Viggo Mortensen, Mahershala Ali, Linda Cardellini, Don Stark, P.J. Byrne, Sebastian Maniscalco, Nick Vallelonga. Origine: USA, 2018. Durata: 130′.

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