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Green Inferno

green loca“Cos’è che non ti fa dormire di notte?”
“I diritti delle donne in Africa!”
Sì, avete letto bene. Queste sono le premesse del (pen)ultimo film di Eli Roth, Green Inferno, proiettato nel lontano settembre 2013 al Toronto International Film Festival e poi latitante per ben due anni dal grande schermo. Chiedetevi perché. Non è una critica, sia chiaro, il lavoraccio è divertente e a suo modo ben congegnato. Ma quando ti vedi un’aula universitaria piena zeppa di studentesse che si schifano di fronte alle foto di mutilazioni genitali femminili, qualcosa ti suggerisce che quello sarà soltanto l’antipasto. E nel momento in cui una di queste studentesse si alza in piedi indignata e se ne esce con una frase del tipo: “È vergognoso! Mio padre lavora per le Nazioni Unite, lui farà qualcosa!”, allora il senso dell’operazione si palesa in tutta la sua profana bellezza. Eli Roth ormai lavora per l’Asylum, soltanto che ha un sacco di soldi in più e forse un po’ più d’amore per il cinema rispetto ai suoi colleghi. Se gli parli di cannibalico italiano (Ruggero Deodato e Umberto Lenzi, tanto per dirne un paio), lui intende al volo a cosa ti riferisci; se gli nomini l’Amazzonia con le sue foreste lussureggianti, i fiumi fangosi, i ragni e le bisce che si sguazzano dentro, il nostro artigiano parte in quarta e ci va a girare una pellicola che più truculenta non si poteva. Green Inferno inizia come una storiella in salsa ambientalista e si sviluppa in una sinfonia di gambe mutilate e teste scotennate; si presenta come un filmetto per sbarbatelli di sinistra e finisce per affermare la fondamentale correttezza del capitalismo americano. Non poco per un horror vecchia scuola, minima teoria e molta pratica.

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Tutto ruota attorno alla deforestazione dell’Amazzonia da parte dell’uomo bianco. Alcuni studenti newyorkesi non ci stanno e vanno a “disturbare” i biechi responsabili del disboscamento incatenandosi alle piante e facendo una sana cagnara. Lo scopo, oltre a preservare il verde del continente latinoamericano, è quello di proteggere l’autoctona popolazione di selvaggi, ovvero una masnada di nanerottoli dai capelli a caschetto e le pance pitturate di rosso. Sembrano persone perbene, ma alle volte le apparenze ingannano. Per questo, quando l’aereo che dovrebbe riportare a casa i giovani rivoluzionari va in panne e cade tra gli alberi, i sopravvissuti all’incidente dovranno escogitare un qualche stratagemma per non farsi pappare dalla tribù di oriundi. In Green Inferno ce n’è per tutti i gusti, gente mutilata che cade dagli alberi, frecce che sgozzano i disgraziati che non fanno in tempo a levarsi dalla traiettoria, un poveraccio corre mezzo stordito verso l’elica dell’aereo e gli parte una bella fetta di cervello.
green inf2Quando il peggio sembra passato, ecco che l’abile regista preme l’acceleratore per inseguire i trucidi ghiribizzi della sua fantasia. I simpatici no-global di New York vengono condotti al cospetto della grande sciamana, una tizia mezza fumata che sembra uscita da un video di Marilyn Manson (ma in realtà ricorda la versione brutta di Jack Sparrow), quindi vengono rinchiusi in una gabbia in attesa di essere cucinati a fuoco lento. Il primo è un nero ciccione: gli strappano gli occhi, poi la lingua, quindi gambe e braccia e infine la testa. I cannibali se lo mangiano tutti soddisfatti e a quel punto nutrono i superstiti con una specie di semolino condito con pezzi di carne umana e pelle. Quando la vegetariana del gruppo se ne accorge, rompe una tazza e si sgozza. Gli altri fanno di necessità virtù e ne rimpinzano il cadavere di droga. Gli indigeni abboccano e se ne vanno in giro per il villaggio tutti ridanciani e in preda alle visioni. I nostri eroi tentano la fuga, ma uno non ce la fa e viene sbranato dalla popolazione sotto allucinogeno. La scena è terrificante: ti vedi decine di testoline rosse che si sganasciano dalle risate per poi addentare la preda ancora cruda e pulsante di vita.

https://www.youtube.com/watch?v=QXmSXaCkNFg
Eli Roth ha due grandi meriti, bisogna riconoscerglielo: rispetta il concetto di splatter, cioè mostra capocce tagliate e braccia amputate senza il minimo senso della vergogna, ha un’idea di cinema violento che porta fino in fondo senza mai scendere a compromessi. Inoltre è stato forse uno dei pochissimi, se non l’unico, a mostrarci una ragazza che si abbassa i pantaloni e scarica litri di diarrea davanti a tutti. Rumori liquidi in sottofondo, faccia contratta e cannibali che la deridono per la puzza.

Marco Marchetti

Green Inferno

Regia: Eli Roth. Sceneggiatura: Guillermo Almoedo, Eli Roth, Nicolàs Lòpez. Fotografia: Antonio Quercia. Montaggio: Ernesto Dìaz Espinoza. Musica: Manuel Riveiro. Interpreti: Lorenza Izzo, Ariel Levy, Daryl Sabara, Sky Ferreira. Origine: USA, 2013. Durata: 103′.

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