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Il figlio dell’altra – Perdersi per poi ritrovarsi

figlioLorraine Lèvy, registra ebrea parigina, costruisce il suo film a partire da due temi differenti e in diversa misura drammatici: da una parte il motivo del “figlio scambiato”, dall’altra il complesso e straziante conflitto arabo-isrlaeliano. Le lacerazioni profonde, lasciate sedimentare per circa un secolo da tensioni ed ostilità politiche, si sovrappongono leggere ad una realtà privata, intima e conchiusa.

E’ il 1991 e dal cielo piovono missili iracheni, siamo in piena Guerra del Golfo. In un ospedale di Haifa, città israeliana, due neonati vengono scambiati e consegnati alle famiglie sbagliate a causa del panico provocato dai bombardamenti. Josephn Silberg (interpretato da Jules Sitruk) e Yacine Al Bezaaz (Mehdi Dehbi), l’uno ebreo, musicista e sognatore, l’altro mussulmano, studioso e sicuro di sé: due destini a confronto sullo sfondo di una sconvolgente rivelazione che li accomuna e che supera la mera questione familiare per elevarsi a scontro culturale. Le loro più profonde credenze vacillano e lo stile di vita condotto fino a quel momento perde di fondamento. I due ragazzi, sconcertati e impauriti all’inizio, allacciano in breve tempo un legame sincero, sia grazie all’amore materno di entrambi che allo spirito di condivisione giovanile. Più difficile sarà ammorbidire gli animi paterni e del fratello di Yacine, che vede nella causa palestinese una ferma ed inviolabile presa di posizione. Unico ed inequivocabile segno di questo dissidio, ancor più emblematico di ciò che distanzia i rapporti umani, è il check point che separa i due territori. Tel Aviv è una città ricca, moderna e spensierata, in netta contrapposizione con i territori rurali e ancora arretrati che si trovano al di là del confine, in Cisgiordania. Valicare quel limite rappresenta per i palestinesi un simbolo di sottomissione, tanto più evidente perché necessario, ma è proprio al limite di quei due mondi che si attua la riconciliazione. dueIl passaggio forzato diventa simbolo di unione e promuove una nuova interpretazione degli eventi storici: se la questione si riduce a differenze ideali che nel concreto posso essere superate, allora è possibile liberarsi dai preconcetti e aprirsi all’altro senza dolorose ritrosie.

La regista, affermata sceneggiatrice per la televisione francese, confeziona un’opera fortemente schematica, partendo da un nodo altamente problematico giunge senza troppi ostacoli alla risoluzione dell’intreccio. Il rischio è quello di banalizzare le dinamiche interne alla vicenda, ma non bisogna essere sempre troppo sospettosi verso chi sceglie di non intraprendere la strada del realismo rude. Il messaggio è veicolato in modo chiaro ed è quello che occorre prendere in considerazione.

 Jenny Rosmini

Il figlio dell’altra

Titolo originale: Le Fils de l’autre. Regia: Lorraine Lévy. Sceneggiatura: Nathalie Saugeon, Lorraine Lévy, Noam Fitoussi. Fotografia: Emmanuel Soyer. Montaggio: Sylvie Gadmer. Interpreti: Emmanuelle Devos, Pascal Elbé, Jules Sitruk, Mehdi Dehbi. Origine: Franzia, 2012. Durata: 105’.

 

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