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Interstellar

Christopher-Nolan-InterstellarE se la Terra diventasse gradualmente inabitabile, fino a minacciare la sopravvivenza della razza umana?
Da questa terribile domanda, di stretta contingenza e al contempo riconducibile alle grandi questioni sul destino dell’umanità – che presto (a causa della selvaggia distruzione dell’ambiente naturale) o tardi (quando il Sole si spegnerà) il genere umano dovrà porsi in concreto – prende le mosse il film di Christopher Nolan, autore e produttore anglosassone mainstream che negli anni è stato capace di coniugare la forza del cinema di genere, rinnovandolo e allargandone i confini sia sul piano narrativo sia su quello visivo: si pensi a Memento o Inception, la spettacolarità della grande macchina-cinema hollywoodiana (ad esempio la trilogia di Batman), il successo ininterrotto al box-office su scala planetaria che vede molti dei suoi film fra quelli di maggior incasso di tutti i tempi a livello globale (solo Inception ha incassato 800 milioni di dollari).
E il marchio di fabbrica è sempre quello: un grande film costruito sul maggior numero possibile di star e talenti, davanti alla camera e dietro, in ogni reparto, dalle consulenze – ha collaborato alla sceneggiatura e alla produzione l’ultrasettantenne Kip Thorne, uno dei massimi esperti viventi di relatività generale – ad attori all’apice della fama come Metthew McConaughey (Oscar per Dallas Buyers Club), Anne Hathaway (Oscar per Les Miserables), Michael Caine, solo per citare i principali. Un’avventura complessa ricca di eventi e di sorprese, trattate con precisione e  sapientemente ritmata; un’indagine umana e psicologica dei personaggi che sulla carta non ha nulla da invidiare al cinema d’autore; una solida sceneggiatura che apre ogni tema, lo sviluppa e riesce a chiuderlo, nelle oltre due ore e quaranta di durata del film, in un conto che torna sempre, anche troppo. E nel racconto intricato e intrigante c’è lo spazio per invenzioni visive, sorrette da un uso fuori scala della videografica, che abbagliano, emozionano, obbligano la mente a percorsi anche concettuali insoliti.
Sembra che la società inossidabile composta dallo stesso Nolan (regia e sceneggiatura), dalla moglie Emma Thomas (produttrice) e dal fratello Jonathan (sceneggiatore) dica al mondo: siamo qui e qualunque cosa possiate fare nel cinema di genere (e spettacolare in senso lato), noi possiamo farla meglio. E ininterstellar5effetti non si può che consigliare la visione di questo splendente gioiello, anche a chi non è un appassionato né del genere science-fiction (e parola non potrebbe essere più azzeccata, visto che la scienza al servizio della finzione c’entra eccome) né del genere catastrofico. È certamente un viaggio che merita di essere vissuto.
Ma se poi ci si domanda se questo film sia un capolavoro s.f. sullo stesso piano di opere come 2001 Odissea nello Spazio, velocemente si scivola nell’arbitrarietà e nelle scelte di gusto squisitamente personali, che la non-sedimentazione di quest’opera al confronto dei giganti del passato rende ancora più arbitrarie. Mi muoverò su questo terreno accidentato divertendomi a riportare i miei perché sì e perché no, e contraddicendomi con grande piacere.
Perché no: i temi dell’abbandono e della perdita dell’affetto famigliare, sebbene centrali nella storia, insieme all’idea che l’amore sia in grado di vincere ogni sfida, anche quando il nemico è nientemeno che la struttura stessa del tempo e dello spazio e quindi, in definitiva sia l’unica grande verità trascendente alla realtà fisica, sono troppo spiegati, troppo chiari e netti, e non riescono a svincolarsi, forse anche per questo, dalla serie infinita di stereotipi e di trappole, nell’abuso cinematografico e letterario che si è sempre fatto di questi nodi emotivi, senza trovare la giusta cifra di verità e sincerità, e dunque rischiando di apparire artificiosi, se non furbi. Con la conseguenza diretta di aver messo in scena personaggi chiave funzionali al racconto, invece che vivi (penso al professor Brand, il fisico decano che guida la missione). E al di là di qualche dettaglio di trama interessante ma forse un po’ forzato, un po’ messo lì a chiudere imprevedibilmente il cerchio, la sensazione generale è quella di un’opera che manca di un respiro estetico e esistenziale fuori dal comune, la capacità di creare un mondo emotivo e espressivo davvero diverso, davvero nuovo.
Perché forse sì: forse mai, in nessun film s.f. di cui abbia notizia, il mistero del tempo, di come oggi lo conosciamo in base alle teorie della relatività generale e della meccanica quantistica, è entrato in maniera così radicale nella definizione dei movimenti della trama, nelle relazioni fra i personaggi, nella interstellar6determinazione delle emozioni che il pubblico prova commuovendosi per la loro sorte. Ma il tempo non è uno dei temi del cinema, per certi aspetti è il tema. Perché il cinema è per antonomasia l’arte del tempo, del suo svolgersi, del suo articolarsi come tempo della narrazione e tempo di vita (e di esperienza) del passeggero-spettatore. In questa chiave quest’ultima opera di Nolan rappresenta un atto di straordinaria coerenza e un culmine nella sua ricerca visiva e poetica, portando (forse a compimento) un’indagine sul tempo come variabile centrale della commedia umana, come mistero e nodo inalienabile, come condizione e limite. Rintraccio solo ora un filo conduttore sottile e quasi impercettibile che mette al centro il tempo nei film Memento (l’impossibilità del tempo nell’assenza di memoria), The Prestige (il tempo di vita nella sovrapposizione con il doppio e la duplicazione), The inception (il tempo variabile del sogno e dei sogni). In tutti, la macchina cinematografica è come contaminata dalle problematiche connesse al tempo, e ora, in Interstellar, l’indagine si sposta sul tempo fisico, il tempo sconfinato degli abissi intergalattici che, negli assurdi giochi relativistici di accelerazione e rallentamento che la teoria einsteniana prevede veramente per il tempo (celebre è il paradosso dei gemelli), diventa minaccia per gli affetti, per la vicinanza ai figli, ai padri, alla condivisione nella comunità famigliare. L’umano si confronta con la sua finitezza davanti all’impossibilità di superare le barriere fisiche e cosmologiche che l’esplorazione scientifica degli ultimi decenni ha posto di fronte ai nostri occhi, rimarcando la sconfinata sproporzione fra noi e le algide immensità siderali.
A questo devono aver pensato autori e compositore (il bravo Hans Zimmer) quando hanno dato vita a una colonna sonora che attinge a piene mani alle sonorità della musica religiosa, con una grande abbondanza nell’uso di organi e strumentalità claustrali che riescono a iniettare per evocazione  quel senso della trascendenza che spesso manca nel film, ma che quando c’è, anche attraverso la colonna sonora, dà vita a momenti di vera commozione, a maggior ragione quando prende corpo il tema epico nord-americano per antonomasia, quello dell’uomo-pioniere che è nato per non fermarsi, per cercare e superare la frontiera, anche quando la frontiera è il tempo della vita e delle vite altrui.

Massimo Donati

Interstellar

Regia: Christopher Nolan. Sceneggiatura: Christopher Nolan, Jonathan Nolan. Fotografia: Hoyte van Hoytema. Montaggio: Lee Smith. Musiche: Hans Zimmer. Interpreti: Metthew McConaughey, Anne Hathaway, Michael Caine, Matt Damon, Jessica Chastain, Casey Affleck. Origine: Usa, 2014. Durata: 168′.

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