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Intorno ai recensori di cassetta

In risposta all’articolo di Marco Marchetti sul film Un’Ombra sulla Verità

In merito all’articolo pubblicato da Marco Marchetti sul film Un’Ombra sulla Verità essendo il sottoscritto chiamato direttamente in causa, ritengo doveroso fare alcune precisazioni.
La prima riguarda il contenuto del film che, non solo parla di negazionismo e antisemitismo, ma vede uno dei protagonisti essere ebreo (l’architetto Simon interpretato dal bravo Jeremie Renier) e con un passato non molto chiaro (durante la guerra accuse di collaborazionismo per un familiare). Intervistato sull’argomento, il regista Philippe Le Guay ha dichiarato che era interessato a mostrare gli effetti devastanti della manipolazione e del sovvertimento della realtà sulla cattiva coscienza di una società che sembra avere dimenticato gli errori e gli orrori del passato. Quindi l’antisemitismo non viene sfiorato o lasciato per strada ma è l’asse portante su cui si muove la narrazione.
Fatte queste doverose premesse scendiamo nel particolare e rispondiamo punto per punto alle rimostranze di Marco Marchetti.

1) Della mia recensione pubblicata su Sentieri Selvaggi viene estrapolata la seguente frase “L’Europa ha dentro di sé i germi reazionari dell’antisemitismo e del negazionismo” e viene richiesto di argomentare con dati alla mano. A parte la grande avanzata in tutta Europa dei movimenti dell’ultra destra (Francia, Germania, Spagna, Portogallo e, ahimè, visti gli ultimi sondaggi anche Italia) ci sono dati incontrovertibili secondo i quali accanto a terra-piattisti e no-vax, sui social network è montata la carica dei negazionisti dell’olocausto (e guarda caso gran parte di questi negazionisti appartiene a movimenti dell’ultra-destra). È un po’ imbarazzante la richiesta di dati e statistiche su un fatto francamente oggettivo, ma voglio venire comunque incontro ai bisogni del Marchetti. Ho avuto la fortuna di recensire proprio recentemente un bel documentario di Petra Epperlein e Michael Tucker Il senso di Hitler (dall’omonimo libro di Sebastian Haffner) che conferma che ancora oggi in molti paesi d’Europa ci sono movimenti che negano l’olocausto e che diffondono fake news tramite web. Quasi il 47% degli europei pensa che il negazionismo non sia un problema (quindi c’è quasi mezza Europa che tollera l’intolleranza). Vera Jourova, Vicepresidente della Commissione Europea, dichiara non solo che l’antisemitismo è un fenomeno in crescita nell’Unione Europea, ma che si deve iniziare dalle scuole proprio per correggere certi errori da mancanza di cultura e disinformazione. Vorrei qui anche ricordare una frase di Primo Levi: “Quelli che negano Auschwitz sono quelli che sarebbero pronti a rifarlo”. Quindi il pericolo è tutt’altro che peregrino e i dati vanno tutti nel senso di non sottovalutare un problema che è reale e non è creato o ingigantito per acchiappare qualche “like” in più nelle recensioni. Se ancora Marchetti non è soddisfatto da queste argomentazioni visiti questo sito (https://europa.today.it/attualita/antisemitismo-ebrei-italia.html) e poi ci faccia sapere.

2) Sulla base delle dichiarazioni nella mia recensione Marco Marchetti parte con un giudizio alquanto ingeneroso rivolto anche a Valentina Di Nino di today.it: “È come se i nostri bravi recensori “di cassetta”, sempre pronti a schierarsi aprioristicamente per il Bene, avessero sentito la necessità di erigere una barriera protettiva tra sé, il film e le idee che qualcuno potrebbe erroneamente attribuire al film stesso o peggio agli articolisti”. Qui davvero non riesco a capire l’accusa, sia nel contenuto che nella forma. Affermare che il negazionismo è un grave pericolo per la nostra società significa conformarsi a un giudizio di sistema? Valentina ed io avremmo bisogno di barriere protettive? E perché saremmo “recensori di cassetta”? Marco, noi stiamo solo recensendo un film! Ed è proprio il film a sottolineare la pericolosità del sottovalutare il problema e trovarsi con il nazista in cantina. Al di là delle interpretazioni psicoanalitiche del Marchetti, che rispettiamo ma non condividiamo, il sottoscritto non ha alcun bisogno di ergere barriere protettive, ma di analizzare molto più semplicemente il contenuto di un film e le sue sfumature sociopolitiche. La mia sensazione è che nelle accuse rivolte a me e Valentina prevalga il conformismo dell’anticonformismo, ossia pur di andare contro corrente interpreto affermazioni oggettive in maniera anticonvenzionale. Ma il sottoscritto non ha alcuna ipocrisia da rimuovere, né vuole cadere in un buonismo di facciata utile per sentirsi a posto con la coscienza. Io credo fermamente in quello che scrivo e dico.

3) La cosa che più mi rende perplesso è che Marchetti si sia fermato alla fase incriminata sui germi reazionari e non sia andato oltre a leggere. Perché dico questo? Perché fondamentalmente nel prosieguo della sua recensione (che io ho letto con attenzione) si arriva alle stesse mie conclusioni citando – tra l’altro appropriatamente – Marcuse e Pasolini: la presenza di un negazionista all’interno di un nucleo familiare borghese determina un crollo di molte certezze, quelle stesse certezze che sono alla base del modello occidentale capitalista. Teorema di Pasolini parla fondamentalmente di questo, spostando il discorso sul campo sessuale. L’errore di Simon in Un’ombra sulla verità non è solo scendere a livello della violenza, ma rimuovere il senso di colpa per un proprio passato oscuro continuando a mentire a se stesso e alla moglie. “L’uomo della cantina” diventa allora la proiezione del nostro lato più buio, quel senso di colpa che alberga in ciascuno di noi e che non ci permette di essere coerenti. Ecco il punto: dobbiamo avere memoria degli errori del passato, ricordare di non dimenticare. Allora preferisco affermare una volta in più che “L’Europa ha dentro di sé i germi reazionari dell’antisemitismo e del negazionismo” perché questo non significa diventare un “bravo recensore di cassetta” ma tenere alta l’asticella dell’attenzione. Quindi preferisco dirlo una volta in più che una volta in meno. A futura memoria. Se la memoria ha un futuro.

Fabio Fulfaro

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