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LA PRESENZA DELL’ASSENTE: QUANDO IL FALSO È PIÙ AUTENTICO DEL VERO

Nel IX secolo il filosofo irlandese Scoto Eriugena sosteneva che Dio, sapendosi incomprensibile, dispiegò in un sol colpo la totalità delle proprie conseguenze per rivelarsi in esse, ossia creò l’universo al preciso scopo di manifestarsi a se stesso, di trovare uno specchio nel quale riflettere la propria irriducibile contraddittorietà. È come se Dio avesse avuto bisogno di un pubblico che gli consentisse di conoscersi e farsi conoscere. Non è azzardato dire quindi che, creando il mondo,8 MANET Bar alle Folies Bergère Dio creò se stesso attraverso la propria rappresentazione negativa. Se è indubbio, infatti, che Dio è presente nelle cose create, è altrettanto vero che Egli non può esaurirsi in esse, in quanto le cose sono il prodotto dell’Artefice, non l’Artefice. Ne consegue che la rappresentazione è qualcosa che per sua natura rimanda necessariamente ad altro, esprime cioè, già al suo apparire, un’intrinseca contraddizione, un sofisticato fuoricampo in cui la presenza diventa la condizione imprescindibile dell’assenza e viceversa.

Lo specchio, proprio perché generatore di doppi, ha giocato da sempre un ruolo fondamentale in questo silente dialogo con l’invisibile, a cominciare dalla pittura, sia attraverso riflessioni interne ed esterne al quadro, Guercino, Susanna vecchionisia tramite svelamenti di soggettive individuali o riflessioni con valenza transitiva e dialogica. Dalle varie donne allo specchio di Ter Borch, Tiziano e Frieseke, a Il bar alle Folies Bergère di Manet, passando per le molteplici rievocazioni di fanciulle al bagno, l’arte ha cercato di invitare il pubblico, nelle modalità più varie, a indagare lo spazio oltre il limite stabilito dalla cornice, fino a risucchiarlo letteralmente nella scena. È il caso, ad esempio, di Susanna e i vecchioni del Guercino, in cui uno dei due vegliardi si rivolge direttamente allo spettatore invitandolo a non rivelare il voyeuristico intrigo.

Con gli Gli sposi Arnolfini di van Eyck si compie un’ulteriore rivoluzione. Lo specchio appeso sul muro alle spalle della coppia non rivela soltanto il lato della stanza opposto a quello raffigurato, ma riflette altresì l’immagine del pittore nell’atto stesso di realizzare l’opera così da produrre, come sottolinea il filosofo Paolo Spinicci, una «frattura ontologica», una rappresentazione dell’irrappresentabile. Jan van Eyck - Particolare dello specchio -1434Di primo acchito, sembrerebbe quindi che la finzione scenica eserciti sullo spettatore una tirannide pressoché assoluta, convertendosi in un formidabile strumento di dominio, più efficace di armi e politica. È ciò che Rossellini ha voluto raccontare nel film La presa del potere da parte di Luigi XIV, nel quale, con straordinaria abilità visiva e concisione narrativa, viene descritto il modo in cui il re Sole riuscì a sedare le aspirazioni indipendentiste delle varie correnti frondiste attraverso il semplice coinvolgimento della riottosa nobiltà francese all’interno di un grottesco teatro di corte completamente alienato dal mondo.

In realtà, come insegnava Eriugena, lo spettacolo dipende dallo spettatore più di quanto lo spettatore dipenda dallo spettacolo. Ne è la prova il celebre quadro di Diego Velázquez, Las Meninas. L’opera riproduce la stanza dei giochi della piccola Margherita Maria Teresa, infanta di Spagna. I personaggi guardano tutti in un’unica direzione fuoricampo, presumibilmente – questa quantomeno è l’interpretazione di Michel Foucault – quella in cui si trovano il re e la regina, soggetti che l’alter ego di Velázquez, Velazquez-Las-Meninasriprodotto sulla sinistra del quadro, sta a sua volta ritraendo e che lo specchio fissato sulla parete di fondo riflette in modo diretto. Secondo Foucault, tale convergenza di sguardi su un unico punto di vista prospettico indicherebbe il perdersi del soggetto nell’oggetto, la sintesi perfetta di significante e significato con cui la scienza moderna stava prendendo a esercitare il proprio enciclopedico dominio sul Diritto e sull’Arte. Le leggi di riflessione, tuttavia, indicano incontestabilmente che le figure restituite dallo specchio non possono essere quelle dei re cattolici, bensì quelle dei loro ritratti dipinti sul lato della tela che non ci è dato di vedere. Ci troviamo quindi di fronte al riflesso di un riflesso, alla copia di una copia, a un doppio falso. Ciò che i personaggi della corte guardano con sorpresa non è la coppia reale, bensì lo spettatore, colui che si ritrova per caso a passare di lì e che, grazie a una visuale leggermente sfasata rispetto a quella dei monarchi fuoricampo, ruba ai personaggi un istante di vita privata trasformandolo in teatro.

Siamo in pieno clima barocco, in cui realtà e rappresentazione invertono i loro ruoli: il falso si converte nel vero e il vero nel falso. Caravaggio, Narciso (1594-1596)La vita privata, infatti, in quanto immersa nel fenomeno, non può fornire parametri di conoscibilità. Tutto ciò che è personale risulta inquinato dall’ordinarietà delle leggi causali, dal rozzo realismo delle miserie esistenziali, a cominciare dalla morte, la quale, nel quotidiano, non è che un mero processo biologico, mentre sul palcoscenico assume valenza estetica, eroica, edificante. Quello che si svolge sulla scena è dunque più vero del vero, poiché si fonda su criteri di possibilità, di potenzialità che si converte in gesto anelante un occhio osservatore che dia senso oggettivo alla presenza. È nella rappresentazione quindi che accadono veramente le cose: nel privato si consuma soltanto il corso plebeo degli eventi.

In Rubber, il visionario regista Quentin Dupeux ha un’intuizione analoga. La pellicola racconta l’escursione di alcuni bizzarri turisti, condotti nel deserto a osservare in lontananza la stanca vita quotidiana di villaggi e motel circostanti improvvisamente minacciata dalle scorribande di uno pneumatico assassino. A un certo punto, gli escursionisti vengono avvelenati Rubberper iniziativa della stessa guida che li ha condotti in quel luogo. La sequela di morti per le strade della contea non accenna tuttavia a diminuire, tanto che all’eccentrico sceriffo sorge un sospetto: «Uno degli spettatori non ha mangiato il tacchino!». Il messaggio è chiaro: finché c’è qualcuno che guarda, il sipario non può calare e gli attori non possono tornare al loro mediocre anonimato quotidiano.

La stagione controriformista, con i suoi codici comportamentali, i suoi galatei, le sue rigide convenzioni sociali, ha portato quest’idea di spettacolo alle estreme conseguenze, al preciso scopo di de-privatizzare il quotidiano, di trasformarlo in qualcosa di artificioso, teatrale. È la vita che va in scena, che si fa rito, che interpreta se stessa allo specchio. Ciò non ha consentito soltanto alla società secentesca di plasmare i comportamenti umani sui principi morali cari al cattolicesimo romano, ma ha offerto altresì ai teorici dell’estetica barocca nuovi criteri per indagare l’animo umano, svelandone parti che in periodi storici apparentemente più liberali non sono stati neppure intravvisti. Difendendo il dogma del libero arbitrio, contro le concezioni deterministiche di stampo calvinista e luterano, la Controriforma ha introdotto il principio secondo cui non v’è scelta morale autentica che possa prescindere dalla conoscenza delle reali forze in campo. L'année dernière à MarienbadScegliere implica quindi disporre di una vasta gamma di trame alternative sulla cui base realizzare un modello di vita ideale. Ed ecco allora che, come in L’anno scorso a Marienbad di Resnais, l’esistenza umana si converte in uno spettacolare gioco di specchi capace di frammentare la realtà, scombinare dialoghi, mescolare le carte in tavola, in un delirio feticistico di mondi compossibili. «Il tempo non conta», dichiara l’instancabile seduttore interpretato da Giorgio Albertazzi, «io, ora, sono tornato a prenderVi».

La vita diventa insomma un’applicatio sensuum di loyoliana memoria, la reminiscenza di un passato autenticamente vissuto semplicemente perché immaginato; un mondo bizzarro, dove vivere è sognare se stessi sotto mentite spoglie; poiché, come direbbe Calderón de la Barca, solo «l’uomo che vive sogna», il resto è solamente un brusco risveglio nella realtà.

Manuel Farina

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