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LA SALA – IL SALE DEL CINEMA

Riflessioni sul domani dell'esercizio cinematografico

Sabato 23 gennaio 2021 si è svolta in diretta streaming la conferenza La sala: il sale del cinema organizzata da Anac (Associazione Nazionale Autori Cinematografici), che ha chiamato a raccolta autori, esercenti, produttori, distributori per interrogarsi e confrontarsi sui problemi del settore e sulle strategie in vista della futura riapertura delle sale cinematografiche.
Hanno partecipato al dibattito: Pupi Avati, Carlo Verdone, Mimmo Calopresti, Gianfranco Pannone, Francesco Bruni, Piera Detassis (Accademia del Cinema Italiano), Carlo Fontana (Agis), Monsignore Davide Milani (Ente dello Spettacolo), Stefania Ippoliti (FS Toscana), Domenico Dinoia (Fice), Mario Lorini (Anec), Francesco Giraldo (Anec), Luigi Lonigro (01 Distribution), Andrea Occhipinti (Lucky Red), Lionello Cerri (Cinema Anteo), Luciano Sovena (Roma Lazio Film Commission), Stefania Ippoliti (FS Toscana), Franco Montini (SNCCI), Don Matteo Cella (Premio Lizzani 2020). Incontro moderato da Francesco Ranieri Martinotti, presidente di Anac.

La sala cinematografica sarà definitivamente sostituita dalle piattaforme?
L’incubo di Pupi Avati è che la sala stia diventando un luogo anacronistico, quasi un sito archeologico destinato a visite turistiche, complice la grande disponibilità di titoli per la visione domestica. La sensazione del regista è che ci sia una diffusa mancanza di desiderio di gran parte del pubblico per il ritorno in sala. Invece, Carlo Verdone, che ha deciso di non cedere alle lusinghe delle piattaforme e di aspettare la sala per proporre il suo nuovo film (come anche Nanni Moretti e i Manetti Bros.), si sente più ottimista. Tante persone manifestano voglia di socialità, incontro e condivisione dopo la visione di un film in sala.
Secondo Francesco Bruni, la voglia di tornare in sala ci sarà ma sarà progressiva.
Ovviamente, gli autori concordano sul primato della visione al cinema. Secondo Avati, il film in sala comanda, a casa comanda il telecomando; mentre per Verdone la sala è il tempio dell’immagine, non il salotto, dove squilla il telefono, passa il cane e tante altre distrazioni.

Motivo di preoccupazione sono gli esercenti e i loro collaboratori, messi in difficoltà dalle chiusure. Lonigro sottolinea che in Europa, l’Italia è lo Stato che ha dato più contributi per le sale.
Come conferma Lionello Cerri, i ristori statali e la cassa integrazione sono stati fondamentali, ma aiutano solo fino ad un certo punto e ora è tempo di porsi il problema di come ripartire, auspicando l’aggiunta di incentivi per la riapertura, per mettere tutti nelle condizioni migliori quando i ristori non ci saranno più. Per le sale, grandi e piccole, anche fuori dalle grandi città, sarà importante investire nelle persone, formando figure professionali in grado di organizzare eventi culturali e momenti di socialità con il pubblico, e rendere le sale più accoglienti, non solo dal punto di vista tecnologico, con un uso più consapevole degli spazi, creando luoghi da vivere, come se fossero abitazioni condivise da tutto il pubblico: i cinema devono ambire ad essere dei centri polivalenti, che non propongono soltanto film ma cultura in senso più ampio e occasione di socialità.
Nell’ultimo anno sono nate piattaforme per continuare la collaborazione delle sale con tutta la filiera dell’audiovisivo (#SoloAlCinema, #iorestoinSALA, Wanted Zone) offrendo tanti stimoli con un taglio verticale apprezzabile (Cinema Ritrovato, Farestream, MUBI), consentendo la visione di film curiosi o introvabili. Ma l’offerta è troppa e spesso i film vengono vissuti in grande solitudine, davanti a piccoli schermi. Manca la magia del rapporto tra film, sala e pubblico.

Perché i cinema sono chiusi? Perché c’è una pandemia in atto, certo. Ma Domenico Dinoia denuncia il trattamento riservato alle sale al momento di decidere cosa chiudere e cosa aprire, come se i cinema non fossero importanti, venendo bistrattati rispetto ad altri elementi economici della società. La scelta di inserire i cinema tra i luoghi con il più alto rischio di contagio, quindi tra i primi a chiudere e tra gli ultimi a riaprire, non sembra avere solide motivazioni (non è stato dimostrato che nelle sale ci sia un’elevata diffusione del virus) e il regolare svolgimento della Mostra del Cinema di Venezia e delle Giornate del Cinema d’Essai a Mantova, senza focolai nonostante le migliaia di presenze, rafforza l’idea di un torto subito da parte dell’esercizio cinematografico.
La pandemia avrà effetti strutturali sullo stile di vita delle persone ma bisogna porsi il problema della riapertura dei luoghi di spettacoli (non solo cinema, ma anche teatri) facendo capire ai decisori istituzionali che sono luoghi sicuri, nel rispetto di appositi protocolli (mascherine, distanziamento fisico, riduzione della capienza, ingressi e uscite separati, sanificazione periodica regolare). Cerri: gli esercenti sono pronti ad un’assunzione di responsabilità dal punto di vista sanitario.
Come argomenta Davide Milani, la salute e l’economia sono fondamentali ma l’esercizio cinematografico e la cultura in generale possono dare il vero motivo per ripartire e ricominciare a vivere in comunità, come sostenuto anche da Paolo Mereghetti in un recente editoriale.
Luciano Sovera è convinto che sia importante parlare ora, per essere preparati quando si potrà. Gli fa eco Dinoia: bisogna preparare la riapertura e non solo “subirla”.

Pupi Avati propone di organizzare ogni singola ri-apertura come un evento atteso, coinvolgendo registi ed attori, in un’operazione di grande sacrificio ma necessaria. Anche Verdone suggerisce una task force di artisti per una campagna promozionale coordinata da Anac, per aiutare tutte le sale, sia con degli spot dedicati sia partecipando a presentazioni diffuse su tutto il territorio nazionale. Il presidente dell’Anac Martinotti è convinto che gli autori debbanno essere presenti alle riunioni degli esercenti. Mimmo Calopresti invita a impegnarsi in prima persona per il “recupero” del pubblico. Servirà un grande lavoro di sensibilizzazione del pubblico.
Ma per Dinoia non basteranno gli autori e gli esercenti per far ripartire il sistema e auspica un grande “piano Marshall” per la cultura in presenza, piuttosto che per il Netflix della cultura (intanto la piattaforma ITsART sta prendendo forma).
Un esempio di incentivo riportato da Cerri è la defiscalizzazione dei biglietti per il cinema, in un sistema simile all’art bonus per i teatri, invitando aziende a regalarne a dipendenti e pubblico.

Quali sono le tempistiche? Con quali film?
Tra i più ottimisti, Stefania Ippoliti spera nelle riaperture intorno al 15 marzo, Verdone a inizio aprile.
C’è confusione relativa alla zona bianca annunciata dal governo. Francesco Giraldo immagina una ripartenza in due fasi, con delle aperture regionali in un primo momento, prima della possibilità di far ripartire tutta la filiera a livello nazionale. Lo spettro è quello di dover attendere fino a giugno, come accaduto l’anno scorso.
Un ulteriore motivo di incertezza è la disponibilità di titoli in grado di riportare spettatori in sala. Le scelte della distribuzione, la gestione delle finestre di accesso al prodotto e la possibilità per gli esercenti di programmare con maggiore flessibilità saranno cruciali, soprattutto ora che si parla di accordi con le piattaforme, per uscite ibride tra sala e web. Per Andrea Occhipinti l’obiettivo è migliorare la durata della vita dei film in sala. Un minimo garantito – secondo Ippoliti – accessibile per poter puntare su un cinema “residuale e secondario”. Lonigro rilancia: il cinema italiano deve essere in primo piano, anche perché i blockbuster sono già stati rimandati all’autunno. Ci sarà voglia anche di piccoli film indipendenti, non solo di blockbuster, ne è convinto Gianfranco Pannone.

Bisogna capire quale sarà il “nuovo” pubblico: qual è la situazione attuale? Come sarà tra un anno?
Verdone sente l’urgenza di una maggiore educazione all’immagine nelle scuole, per evitare che i giovanissimi siamo attratti solo dai blockbuster degli effetti speciali. Formare spettatori per una visione “colta”. Dodici milioni di euro, il 3% dei fondi per il cinema, sono destinati all’educazione all’immagine ma non si sa ancora come saranno impiegati e gli effetti si vedranno nel lungo periodo.
Sembra fondamentale un’indagine statistica, sistematica e scientifica, che non analizzi solo la situazione dell’esercizio ma anche quella del pubblico, per sondare in maniera accurata come sono cambiate le abitudini di fruizione del prodotto audiovisivo e quali possono essere i bisogni al momento della riapertura.
Di questa eventualità si era già iniziato a parlare durante una riunione di AGIS lombarda, ipotizzando il coinvolgimento di alcuni atenei milanesi. Personalmente, ritengo importante che la ricerca venga condotta differenziando i dati nazionali da quelli regionali e da quelli locali, prevedendo l’accesso al questionario tramite link differenziati in base alla sala di riferimento, per avere una fotografia più dettagliata del territorio ed evitare che i risultati vengono troppo influenzati dal maggiore numeri di sale e spettatori delle grandi città, a danno della consapevolezza delle piccole realtà provinciali.

La sensazione finale è che “sopravvivranno le sale che sono riuscite a fare lavoro di fidelizzazione e di profondità con il proprio pubblico, anche in questo periodo di chiusura”. Non è più il momento per riunioni con funzione quasi terapeutica di condivisione delle difficoltà ma di iniziare a progettare concretamente come tornare a guardare i film in sala.

Gabriele Ciglia

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