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L’insulto

insultoLa guerra civile è finita nel 1990, ma probabilmente nel subconscio collettivo qualcosa a Beirut ancora sopravvive dopo quindici anni di conflitti, se è vero che un banale insulto arriva a scatenare uno scontro che dilaga fino a scomodare il Presidente in persona. Il profugo libanese Yasser (Kamel El Basha), operaio attento e puntiglioso, da dello stronzo al cristiano Toni (Adel Karam), proprietario di un’autofficina, reo di averlo bagnato volontariamente mentre lui sistemava una grondaia. Toni pretende le scuse di Yasser, Yasser si rifiuta e quando si scusa è ormai tardi e volano altre parole pesanti, che scatenano nel palestinese una reazione violenta: un pugno sotto il costato di Toni. Arrivano in tribunale. Il processo che segue non è un semplice accordo tra le parti, ma dilaga tra le strade di Beirut, fa riemergere fatti storici rimossi e diventa un caso nazionale.

“La guerra in Libano è finita senza vinti né vincitori. Tutti vennero assolti. L’amnistia generale si trasformò in amnesia generale. Abbiamo nascosto la sporcizia sotto il tappeto, per così dire. Ma non può esserci una guarigione della nazione sino a quando i problemi non vengono affrontati”. Sono dichiarazioni del regista Ziad Doueiri, che si rivelò nel 1998 con West Beirut, considerazioni che diventano una dichiarazione di intenti, una traccia perfetta per interpretare l’incredibile catena di eventi che porta nelle strade un minuscolo conflitto di quartiere. Ma quando si trovano di fronte, arroccati su posizioni inconciliabili, un militante del partito cristiano di destra e un musulmano palestinese per di più linsultoprofugo, la situazione si complica. Un insulto diventa una provocazione a cui rispondere con un’altra provocazione, parole che feriscono, frasi che non possono rimanere in superficie: “Sharon avrebbe dovuto sterminarvi tutti”, tuona Toni che non accetta scuse tardive e quasi estorte a Yasser dal suo datore di lavoro. Si riferisce alla creazione dei campi profughi vigilati dagli israeliani, ma indirettamente al 1982, anno dell’invasione e del massacro di Sabra e Chatila, quando tanti innocenti palestinesi furono trucidati dai falangisti con la silenziosa complicità dell’esercito di Israele (riguardatevi Walzer con Bashir di Ari Folman). Ebbene, in una Beirut non più divisa tra est (cristiano maronita) e ovest (musulmano), come raccontava West Beirut, le divisioni rimangono profonde, interne, ed esplodono nel quotidiano, quasi che le tensioni fossero bloccate in uno stallo, nella speranza che il tempo possa annacquarle. Invece, il preconcetto regna sovrano e arriva prima ancora delle azioni, attraverso l’inflessione della pronuncia o i tratti del volto. Tanto basta ad etichettare: accogliere o respingere.
Ma è il processo a fare da cassa di risonanza a questo duello teoricamente poco interessante, perché i due avvocati (di cui non riveliamo la sorprendente interconnessione) per convincere il giudice che la reazione emotiva arrivava da un vissuto lontano, riportano alla luce della storia libanese episodi dimenticati e dolorosissimi per entrambi i protagonisti. Come afferma il Presidente in persona, convocando i due per una sperata e poco rumorosa riconciliazione, la verità a volte viene dopo la stabilità, ovvero deve spesso abdicare al compromesso, anche perché in Medio Oriente è difficile comprendere chi sia nel giusto. Nel frattempo però il compromesso si rivela fragile, perché un innesco banale, divenuto simbolo, accende la guerriglia nelle strade, come se la società civile non aspettasse l’occasione di regolare conti antichi. Gli uomini, perché le donne tentano invece di contenere le pulsioni orgogliose dei rispettivi compagni, soprattutto la moglie di Toni, che la tensione fa partorire prematuramente. Lei antepone la famiglia davanti alle ragioni assurde del marito, che in fin dei conti rappresenta metà della storia. Le azioni, proprio quando si fanno simboli per la collettività, pretendono responsabilità (politica).


Il dibattito processuale è avvincente, forte di argomentazioni che si trasformano in psicanalisi di un paese intero. Supportato da dialoghi che evitano costruzioni moralistiche e affidati ad attori sempre in parte a cominciare da Abel Karam e Kamel El Basta (vincitore della Coppa Volpi a Venezia), L’insulto contamina il genere processuale con la commedia e il film storico (mai pedantemente didattico per altro), integrando la tensione dei drammi personali e collettivi con momenti persino divertenti. E si perdoneranno un paio di concessioni al pubblico, più che furbette ancora una volta pensate in chiave simbolica.

Vera Mandusich

L’insulto

Regia: Ziad Doueiri. Sceneggiatura: Ziad Doueiri, Joelle Touma. Fotografia: Tommaso Fiorilli. Montaggio: Dominique Marcombe. Interpreti: Adel Karam, Kamel El Basha, Camille Salameh, Rita Hayek. Origine: Libano, 2017. Durata: 110′.

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