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Lovely Boy

Nic (Andrea Carpenzano), in arte Lovely Boy, è un giovane cantante trap. Si fa strada nella scena musicale romana con il suo amico Borneo. Il duo è conosciuto con il nome XXG. Nic ha grande talento, ma anche una malcelata apatia verso il mondo, forse per questo non fa altro che stordirsi fumando hashish, sniffando coca e ingerendo pasticche. Quello di Nic è un percorso verso l’autodistruzione frenato soltanto dal soggiorno coatto in una comunità di recupero per tossicodipendenti, dove conosce Daniele, un ex-eroinomane adesso in forze alla comunità, che lo prende in carico.
Il film si muove su due linee temporali, alternando le fasi della difficile rieducazione alla vita, a quelle che ne hanno decretato la caduta in un baratro culminata da un atto disperato.

Francesco Lettieri, autore di numerosi videoclip soprattutto per Liberato, dopo appena un anno dall’esordio con Ultras, film che entrava con piglio realista nel violento mondo della tifoseria calcistica, in particolare le frange più estreme degli ultras napoletani, torna al lungometraggio con un film altrettanto crudo. Lovely Boy condivide con Ultras una certa dose di sfrontatezza nel mettere al centro personaggi disturbanti, in cui, per buona parte del film, è difficile identificarsi, provare delle simpatie, tanto estrema è la direzione di queste vite oltreconfine. E per confine non si intende la membrana permeabile che cinema e letteratura hanno raccontato nel definire le sciagure dei vinti o la disperazione dei reietti travolti da un destino già scritto alla nascita. Lettieri sembra definire un solco più profondo, che delimita i territori della norma e della trasgressione, scavalcato senza apparenti spinte motivazionali, senza pressioni sfavorevoli. A dire il vero più in Lovely Boy che in Ultras, dove il contesto urbano e l’estrazione sociale sembrano costituire ancora l’alveo naturale per il manifestarsi di comportamenti violenti. Bastino a riprova le inquadrature sulle architetture della Napoli periferica, che continuano ad essere simbolo del degrado e della privazione di alternative culturali.
Nic invece non appartiene alle fasce svantaggiate. Nic sceglie di deragliare, punto. Figlio del nichilismo adolescenziale, fenomeno sempre più diffuso, non cerca ragioni allo smarrimento invincibile di cui è vittima, anzi flirta con la distruzione, ne cerca semmai i piaceri più nascosti seppure effimeri.

Il regista dal canto suo non fa nulla, e giustamente, per trasformare il suo film in un compendio sul vuoto generazionale o roba simile, non cerca risposte, come non le cercava nel film precedente. Si propone piuttosto di registrare dei comportamenti, di osservare i suoi personaggi di cui sembra innamorarsi poco a poco. Se era più facile rimanere al fianco del capo ultrà Aniello Arena, di cui da subito si intuiva il destino tragico, più ostico è seguire il trapper Lovely Boy e il suo amico Borneo, come anche familiarizzare con il mondo greve e a tratti ripugnante che gravita attorno a loro, eccezion fatta per uno sfigatissimo (e proprio perché sfigatissimo) produttore romano, uno di quelli buoni solo fino a quando non girano i soldoni. Nic e Borneo sembrano ragazzini viziati che hanno trovato una via mettendo in croce versi facili. Daniele lo dice senza mezze misure a Nic, che i suoi testi non gli piacciono, non li capisce, non vogliono dire nulla. Invece è proprio nella pochezza che diventano indicatori di un movimento che si fa pensiero tra i giovani, ben più di una semplice moda.
Trap è uno stile di vita, un linguaggio, forse l’emblema più chiaro delle passioni deboli, ma pur sempre un indicatore.

Eccola un’altra affinità con Ultras: l’esplorazione di un cosmo regolato da norme condivise e da un linguaggio che si sovrappone a norme e lingue codificabili, una sorta di mondo parallelo, niente affatto secondario. Gli ultrà e i trapper tracimano con le loro formule e trovano visibilità come branco o come sottocultura musicale per fare breccia con l’irregolarità. Se Ultras risultava più compatto, più concentrico, Lovely Boy rischia in diversi momenti di sfilacciarsi, sotto la spinta del suo personaggio principale, una vera pulsazione anarchica nel racconto, fuori e dentro la comunità. E così più che l’universo trap è il piccolo Nic, tossico fino quasi a morire (ottimo Carpenzano con quelle espressioni abuliche e in cerca di schiaffi), che diventa il fulcro della narrazione. Non è un film sulla fama che disintegra o sugli effetti delle droghe (un Christiana F. all’italiana per intenderci), ma su un bambino poco più che ventenne che vuole disintegrarsi indipendentemente dalla musica, dal denaro, dal successo, un lovely boy che vuole essere lonley boy e che non sa verbalizzare il disagio, non ne comprende l’origine.

Il film riesce ad avvicinarci gradualmente al personaggio, alla sua trasformazione sempre in forse, mai scontata, e non si capisce perché Lettieri si affidi a certe soluzioni visive che dovrebbero restituire lo stato allucinatorio di Nic (ma servono davvero?) quando è già tutto lì, sul volto del suo giovane attore. Delude parzialmente invece una rappresentazione della famiglia sfuggente, o meglio, la definizione di questa assenza, o presenza fallimentare. Un padre trasparente e una madre ambigua potevano trovare un fuoco diverso. Il paesaggio umano nella comunità tra le montagne dolomitiche è invece sfaccettato e interessante, mentre Daniele ci riporta alla figura di educatore ex-ospite forse obsoleta, giustificato da un turning point narrativo che sembra servire la svolta di Nic.

Vera Mandusich

Lovely Boy

Sceneggiatura e Regia: Francesco Lettieri. Fotografia: Gianluca Palma. Montaggio: Mauro Rodella. Interpreti: Andrea Carpenzano, Ludovica Martino, Daniele Del Plavignano, Enrico Borello, Riccardo De Filippis, Pier Luigi Pasino. Origine: Italia, 2021. Durata: 105′.

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