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Robocop

robo locaCosa lega un misconosciuto regista brasiliano, José Padilha, a un film commercialissimo prodotto dalla MGM? All’apparenza nulla, in realtà moltissimo, soprattutto considerando che questo mestierante latinoamericano ha vinto nel 2008 l’Orso d’Oro a Berlino per un film di grande successo in patria, Tropa de Elite – Gli squadroni della morte, che trattava appunto delle operazioni antidroga condotte dal famigerato BOPE (battaglione per le operazioni speciali di polizia). Insomma, roba d’azione, sparatorie, mitragliate e favelas appestate da narcotraficcanti barricaderos con una scopa infilata nel sedere e tanta rabbia da sfogare. A uno così non puoi chiudere le porte in faccia, con buona pace di Darren Aronofsky che, scritturato per dirigere il progetto quasi nove anni or sono, abbandonò le trattative per cedere scettro e corona al collega brasiliano. Mors tua… Il nuovo Robocop partiva da aspettative molto basse (fare il remake di un classico è un azzardo che sovente costa caro, soprattutto se il classico in questione è stato diretto da Paul Verhoeven), invece il risultato si è rivelato eccezionale. Perché? Aprire un film con un attacco all’Iran, bombe e terroristi e assalti alla diligenza, è già sinonimo di professionalità, affiancare ai soldati ordinari dei grossi robot sparatutto e gargantueschi è invece segno di profonda contemplazione dell’immediato futuro. O almeno di quello delineato da Future Weapons su Discovery Channel. A questo prologo aggiungete un azzimato Samuel L. Jackson, presentatore e opinionista tv, che parteggia per l’introduzione di questi androidi entro i confini americani, a scopo di pattugliamento delle strade e prevenzione dei crimini; mescolate con un’oscura multinazionale con base operativa in Cina, che ha tutto l’interesse a fare pressione sul Congresso affinché le armi futuribili, impiegate nelle guerre a stelle e strisce, divengano un ottimo surrogato dei fallibili poliziotti di carne e sangue; ed ecco che avrete un action scoppiettante, furibondo, intriso dall’odore muscolare di villoso testosterone, polvere da sparo e fuoco incrociato.robo 1

Joel Kinnaman è il nuovo Robocop, uno sbirro ligio al dovere, sposato con Clara (Abbie Cornish) e con un figlio da allevare, che viene massacrato da una pericolosa banda di criminali incalliti, capeggiata da Vallon (Patrick Garrow), in combutta con alcuni sbirri corrotti. Del povero agente non resta nulla, se non un grumo di cervello danneggiato, la faccia, una mano staccata dal resto del corpo, cuore e polmoni. E certo, un pezzo di colonna vertebrale, giusto per connettere gli organi fondamentali con la corteccia cerebrale. Per fortuna interviene la OmniCorp, che grazie al sostegno finanziario di Raymond Sellars, alias Michael Keaton (affarista senza scrupoli, ma uomo di buongusto, almeno a giudicare dai Bacon che ornano il suo studio), sarà affidato alle amorevoli cure del dottor Dennett Norton (Gary Oldman). Il robot così assemblato, bello e vigoroso nella sua nuova corazza nero ebano, potrà dimostrare al popolo americano di saper garantire diritto e protezione. Le cose naturalmente non vanno proprio come dovrebbero, perché per quanto la OmniCorp faccia di tutto per tenere sotto controllo i picchi emozionali di Kinnaman, rendendolo nulla più che un uomo di latta, un droide sintetico costruito per eseguire ordini, il bellissimo golem finirà per ribellarsi al suo creatore, dimostrando che in fin dei conti anche i robot hanno cuore e sentimenti.

robo 2Questo ripensamento di Robocop si nasconde dietro il paravento degli inseguimenti e delle fragorose sparatorie per intavolare un discorso di una certa profondità filosofica, e quindi morale, umana e persino scientifica, sulla libertà di scelta e sui complessi meccanismi sociologici che condizionano, complice la longa manus del selvaggio marketing statunitense, le convinzioni dei consumatori. La OmniCorp vuole davvero aiutare un poliziotto disabile donandogli la vita, rendendolo invincibile e facendone un baluardo di fiducia nazionale? Oppure Robocop è in realtà vittima di una losca macchinazione, oltre la quale si nasconde soltanto l’ombra del guadagno facile, del successo e dell’arrivismo padronali? E quindi che significa essere umani in un corpo meccanico, o degli ibridi, dei prototipi, fra tanti uomini, tutti simili ma diversi rispetto a ciò che sei (diventato)? E che significa esserlo fra tante macchine, concepite per uccidere, proteggere, salvare, ma prive di mente e quindi incapaci di elaborare una decisione in autonomia? Non lo sappiamo, e non lo sa nemmeno Robocop, che pur programmato per pensare come una macchina (paradosso del futuro), dimostrerà a se stesso, al mondo intero e ai suoi stessi artefici che la chimica di una lacrima, la melanconia di un ricordo o l’emozione suscitata da una vecchia canzone non si possono spiegare, controllare né reprimere premendo un pulsante o dosando additivi ormonali. Forse c’è qualcos’altro, che travalica l’elettrochimica e la neurologia per sconfinare nel concetto più nebuloso di anima. Robocop non è un poliziotto (di qualunque sostanza sia fatto), ma l’essenza noumenica, per dirla con gli esegeti di Platone, che sottende e al contempo specifica il concetto stesso di poliziotto. È l’esigenza americanissima di un controllore astratto, un vigilante asessuato nel corpo, tetragono nelle scelte perché ricondotto intimamente a una grande triade ideologica, altrettanto americana, specificamente occidentale: la libertà, la sicurezza e soprattutto la certezza della pena. Eppure, ci insegnano i nobili capitalisti della Columbia Pictures e della MGM, il regista José Padilha e gli sceneggiatori tutti, non c’è eroe che resista alla commozione, né paladino che rifiuti i ragguagli della propria coscienza.

Marco Marchetti

Robocop

Regia: José Padilha. Sceneggiatura: Nick Schenk, James Vanderbilt, Joshua Zetumer. Fotografia: Lula Carvalho. Montaggio: Peter McNulty, Daniel Rezende. Musica: Pedro Bromfman. Interpreti: Joel Kinnaman, Gary Oldman, Michael Keaton, Samuel L. Jackson, Abbie Cornish, Jackie Earle Maddox, Patrick Garrow. Origine: USA, 2014. Durata: 121 min.

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