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Sorry We Missed You

Prendi Ken Loach a scatola chiusa. Sai cosa andrai a vedere, sai che ogni film grida disappunto, invita alla resistenza, ingaggia una lotta che si consuma nell’universo lavoro o nel confuso welfare britannico. Schiavi contro padroni. Passano i decenni e sotto sotto i rapporti di forza non cambiano. Loach il rosso (orgogliosamente), film dopo film, ha messo in scena con il piglio del documentarista le trasformazioni che hanno investito il Regno Unito e che, se possibile, hanno sottratto tutele ai deboli. E non si tratta più nemmeno di chiamare in causa il tatcherismo, il nemico non sembra più così visibile, si nasconde nelle pieghe degli assetti sociali complicati dalla globalizzazione. Le differenze (di classe, si sarebbe detto una volta) sono il frutto amaro di una semina che non tiene conto della dignità delle persone e del loro diritto alla vita, non alla sopravvivenza. Io, Daniel Blake, l’ultimo grande film di Loach, ne era l’assioma, l’evidenza inequivocabile.
Con Sorry We Missed You il regista sceglie di indagare il mondo dei corrieri, apparentemente padroncini con un furgone a carico, descritti come lavoratori autonomi, ma di fatto a servizio di spietate aziende di deposito e smistamento, che regolano la macchina delle consegne sul rapporto quantità/tempo, azzerando il valore umano dei lavoratori.
Sul nero dei titoli di testa il film si apre con il dialogo tra l’aspirante corriere Ricky (eccezionale Kris Hitchen, ma dove gli scova gli attori!) e il suo futuro datore di lavoro che lo invita a diventare imprenditore di se stesso, perché entrare in azienda è partecipare da protagonista alla sua vita come se non ci fossero gerarchie. Una frase motivazionale e farsesca, perché se è vero che ogni corriere è padrone del proprio destino e può ambire al salto economico, è vero anche che ogni minimo intoppo – sia un ritardo nella consegna o un’assenza improvvisa per cause di forza maggiore che non trova copertura in un collega – è punito con multe salatissime. Quando la moglie Abby (Debbie Honeywood), una badante a domicilio, vende la propria auto per permettere a Ricky di acquistare il furgone che gli permetterà di lavorare, sa benissimo che la prospettiva di un futuro roseo (impiego indipendente e casa di proprietà) potrebbe rivelarsi una trappola senza uscita. L’adolescenza inquieta del figlio maggiore della coppia è la miccia che accende il film: sospeso da scuola, arrestato in fragranza di un furtarello, Ricky è costretto a bucare una giornata di lavoro. E’ l’inizio di un calvario.
Siamo in un film di Loach scritto dal sodale Paul Laverty. Sostanzialmente un caso diventa emblematico di un contesto catastrofico. Un meccanismo oliato che però questa volta si inceppa a tratti nella sequela di disgrazie poco sorprendenti che presto si abbattono sulla famiglia. Ricky non è certo un caso isolato, ma nel film porta la croce di tutti i lavoratori del comparto, a cui peraltro regista e sceneggiatori sono ricorsi per indagare le storture di un sistema perverso che serve le nuove economie basate sugli acquisti online e le consegne a domicilio.

Una narrazione come sempre secca e lucida nelle descrizioni dei meccanismi di prevaricazione dei forti sui deboli, che in questo caso sembra marcata da una rabbia senza appello, così da cancellare dall’ordito quei ricami ironici che hanno sempre colorato la filmografia di Loach. Ogni segmento di Sorry We Missed You è plumbeo, lavora per sottrazione, dove il minuendo è la speranza e il sottraendo la solidarietà di classe (i lavoratori di fatto sono monadi e manca un contesto di supporto alla famiglia, come gli amici, forza trascinante nelle precedenti opere). Mai così pessimista, Loach decreta la fine della società moderna, nata sulla base dei diritti inalienabili dell’uomo e sulle lotte sindacali, per configurare il quasi decesso dell’ultimo baluardo di resistenza: la famiglia. Quasi un cadavere.

Alessandro Leone

Sorry We Missed You

Regia: Ken Loach. Sceneggiatura: Paul Laverty. Fotografia: Robbie Ryan. Montaggio: Jonathan Morris. Musiche: George Fenton. Interpreti: Kris Hitchen, Debbie Honeywood, Rhys Stone, Katie Proctor. Origine: GB/Francia/Belgio, 2019. Durata: 100′.

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