RecensioniSliderVenezia 2015

The Danish Girl

danish2Tratto dall’omonimo romanzo di David Ebershoff e a sua volta ispirato alla biografia di Lili Elbe, prima transessuale della storia, The Danish Girl era uno di quei film che rischiavano di non farsi: una genesi lunghissima, complicata, un continuo rimaneggiamento del cast che ha portato una serie di vedette hollywoodiane a prendere e abbandonare posto, a impegnarsi e disdire i propri obblighi, fino a un risultato sorprendente, colorato, pienamente capace di ripagare le attese. Tom Hooper ci aveva delusi un po’, ammettiamolo, quando si era accaparrato quell’Oscar immeritato al Miglior film, per un film, Il discorso del re (2010), che forse non era brutto, ma certo non il migliore tra tutti quelli prodotti e in concorso. Il mondo l’aveva conosciuto, amato e odiato, proprio per la sua capacità che era anche (che è?) il suo limite precipuo: creare film d’intaglio, perfetti, geometrici, implacabili nella loro programmatica pettinatura, ma purtroppo privi di quell’energia, di quell’élan che il cinefilo pretenderebbe. Invece The Danish Girl supera le aspettative, non tanto per ciò che dice, ma per il modo. E allora il limite di Hooper diventa il pregio, la sua castigata moralità si trasforma in pulsione alla vita, diviene la condizione senza la quale il suo lavoro non sarebbe stato altro che un film qualunque, cioè un film di costume. Immaginatevi un’opera d’arte cinetica, una carrellata di tableaux vivants che ci conduce in un mondo preziosissimo e antico, nel cuore dell’Europa di fine anni venti, una Copenhagen portuale, fatta di gallerie d’arte, caffè e architetture, che mutano, si trasformano, diventano indici cangianti di una società opulenta e già allora autenticamente democratica.

danish 1Non è importante seguire la presa di coscienza del giovane Einar Wegener (Eddie Redmayne, protagonista de La teoria del tutto), che da pittore sposato con la bella Gerda (Alicia Vikander) comincia, come per gioco, a indossare gli abiti delle modelle, ad accarezzarne le sete e i broccati, ad eccitarsi sensualmente travestendosi da ragazza; e non è nemmeno importante cogliere le piccole slabbrature, le differenze minimali tra la storia narrata e la storia reale, per come i cronachisti ce l’hanno tramandata: cinque operazioni chirurgiche in due anni, nel film di Hooper ridotte soltanto a due, l’ultima la più rischiosa, la ricostruzione di una vagina artificiale con la conseguente asportazione degli organi riproduttori. The Danish Girl va inteso come un viaggio nel tempo, anzi in un tempo forse molto più liberale del nostro, e soprattutto come un costante dialogo con la città di Copenhagen e con il Nord Europa in generale. È come se Hooper avesse deciso di scrivere un film sulla geografia, sulle meraviglie dei luoghi, sulla bellezza del paesaggio settentrionale e sugli sbalordimenti dell’ingegno umano. Ecco allora che la sua pellicola diventa simile a una sfida giocosa, nel trovare i posti, nello scovare questi angoli di sorpresa che l’Europa (questa terra straordinaria, civilizzatrice, latrice di cultura, arte, letteratura, spiritualità) non smette di riservarci. Per l’intera durata dell’opera, ci addentriamo in questi antri fatati, il caffè A la morte subite, oppure gli incanti liberty del Museo Horta, entrambi in Belgio. E gli interni, le scenografie, le passamanerie, l’oggettistica, le chincaglierie che attendono lo spettatore in ogni angolo, per ogni inquadratura, in qualsiasi vicolo come non se ne vedevano dai tempi di Maria Antonietta (2006) di Sofia Coppola! Certo il merito è anche del team di scenografi, Michael Standish, Grant Armstrong, Tom Weaving, per non parlare dei costumisti, dei truccatori, dei trovarobe.

The Danish Girl è un film sulla storia (dell’arte) più che un film sulla psicoanalisi, che però ha anche un altro grande merito: mostrare per una volta non le efferatezze della religione, quanto le crudeltà, le perversioni, gli accanimenti della scienza. Sì, proprio lei, questa accademia di dogmatici che ancora in quegli anni, e purtroppo anche dopo, curava il travestitismo con il manicomio, la coercizione o, come nel caso della folle, eroica e disturbata Lili Elbe, attraverso operazioni chirurgiche (il trapianto di utero e ovaie, tra le varie) dagli esiti incerti e pericolosissimi.

The Danish Girl

Regia: Tom Hooper. Soggetto: David Ebershoff. Sceneggiatura: Lucinda Coxon. Fotografia: Danny Cohen. Montaggio: Melanie Ann Oliver. Musica: Alexandre Desplat. Interpreti: Eddie Redmayne, Alicia Vikander, Matthias Schoenearts, Ben Whishaw. Origine: UK/USA, 2015. Durata: 120′.

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