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The Menu

Un horror culinario dagli inquietanti risvolti psicologici

Siamo ciò che (non) mangiamo
Sarà una casualità, o forse sussiste una qualche imperscrutabile strategia di intenti tra registi tra loro sconosciuti e indipendenti. Parliamo di tensioni tutte interne alla psiche, cose misteriose che guidano l’occhio di chi dirige e la mano di chi sceneggia, e che permettono di scorgere una specie di comune denominatore tra i coevi Triangle of Sadness e questo The Menu. Due film grotteschi, eccessivi, debordanti, dove le sproporzioni corporali prendono a braccetto quelle dell’estetica, e pur essendo comunque divergenti negli intenti finiscono per radicarsi nel medesimo humus sociologico, per approvvigionarsi nella stessa melma antropologica: il cibo, o per meglio dire lo status del nutrimento, qui spodestato dalla sua funzione alimentare e trasmutato in sineddoche politica. La parte per il tutto, nel senso che lo stomaco detta la linea al cervello che ciecamente vi ubbidisce con incendiarie riflessioni sul senso della vita e della morte. E forse anche della cucina.

Dalla crociera di Triangle ci si sposta all’isola di The Menu, film americano nella forma ma molto inglese nell’essenza, tanto da essere stato diretto da un misconosciuto cittadino britannico, tale Mark Mylod (si ricorda per un piacevole The Big White del 2005 e nulla più). Anche in questo caso, a condurre le danze è una masnada di viziatissimi alto-borghesi coprenti l’intero ventaglio della boria e della saccenteria: una improbabile star da rotocalco culinario con marito da passeggio, l’affarista ottusissimo e con molti scheletri nell’armadio, il divo del cinema, finanzieri, capitalisti, analisti, estetisti (nel senso di grezzi parvenu dell’estetica culinaria) e tutto il corredo di idiosincrasie e dovute eccentricità di classe. Costoro, commensali loro malgrado dell’onnipotente chef Julian Slowik (Ralph Fiennes), gusteranno l’avanguardia dell’esperienza alimentare: alghe filamentose impiattate su escrescenze di roccia imbevute di acqua marina, costellate da qualche sporadico mollusco; una tavolozza di condimento per il pane ma senza pane di accompagnamento (troppo proletario, il pane, assolutamente verboten); altre cibarie che arrivano, presentate dal maître con profusione di dettagli e abbinamenti vinicoli, tutte belle, concettuali, ricercatissime ma disperatamente incapaci di soddisfare l’appetito di ospiti che pian piano iniziano a brontolare.

Cosa scatenerà la prossima rivoluzione, la politica o la mancanza di cibo? O meglio, cos’è un atto politico se non la consapevolezza di fare la fame? Il film di Mylod, che in effetti ricicla attori rodati ma di per sé insignificanti (escludendo Ralph Fiennes, abbiamo giusto un irriconoscibile Nicholas Hoult, il bambinetto di About a Boy), trasfonde la politica in un sofisticatissimo gioco intellettuale: ai ricchi è preclusa la classicità dell’esperienza culinaria che appunto si fa esemplificazione di haute cuisine progettata per sottrazione. Piatti talmente inarrivabili, preparati da chef pentastellati collocati a distanze siderali dal comune sentimento, che si disgregano nelle spire della cosiddetta gastronomia molecolare: le vivande sono infatti più simili a esperienze artistiche, a misteriosissimi happening dove lo scarto tra l’estasi e l’incommensurabile presa per i fondelli è ridottissimo.

Ad esempio, una portata è dedicata al ricordo: lo chef racconta di aver pugnalato il padre con una forbice per evitare che facesse violenza alla madre; allora ecco che serve ai suoi ospiti una coscia di pollo con tanto di forbice a spuntare come un inquietante vessillo. Dalla madeleine di Proust alla coscia squadernata di Julian Slowik. La portata successiva si intitola invece The Mess, ed è introdotta da un cuoco che si spara in bocca con tanto di telone di plastica appositamente sbandierato per raccoglierne il cervello. Realtà o simulazione? Cuisine Vérité o furbo copione da Grand Guignol? The Menu è un esperimento stilistico ancor più compiaciuto delle sue bizzarrie da cucina per nobili incravattati che però, al netto delle sue divertentissime stramberie, smuove cose profonde. Fateci attenzione: gli sceneggiatori sono degli emeriti nessuno, ma in produzione c’è Adam McKay di Don’t Look Up.

Marco Marchetti

The Menu

Regia: Mark Mylod. Sceneggiatura: Seth Reiss, Will Tracy. Fotografia: Peter Deming. Montaggio: Christopher Tellefsen. Interpreti: Ralph Fiennes, Anya Taylor-Joy, Nicholas Hoult. Origine: USA, 2022. Durata: 107′.

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