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Un raggio di “Sole” per il cinema italiano

soleSole, opera prima di Carlo Sironi, prova a trovare un posto in sala facendosi largo tra i grossi titoli del momento come Joker, Once Upon A Time… in Hollywood o Maleficent. Sole è però un film asciutto che non ama fare baccano, eppure chi lo ha visto sa che si tratta di un’opera che ha molto da trasmetterci. Una storia difficile, uno sguardo al non detto della contemporaneità italiana, che vede come protagonisti due giovani anime perdute alla ricerca di se stesse e del proprio futuro. Da una parte abbiamo Ermanno (Claudio Segaluscio), un ragazzo di borgata che vive di espedienti e passa le sue giornate rinchiuso in una stanza buia sperperando i suoi averi nelle slot machine, dall’altra la coetanea Lena (Sandra Drzymalska), appena arrivata in Italia dalla Polonia per vendere la bambina che porta in grembo e tentare di ricominciare una nuova vita.
La freddezza avvolge l’intera prima parte del film, tra dialoghi ridotti all’osso e una fotografia gelida, blu, schiacciata in un 4:3 soffocante che mostra il quartiere di un litorale romano, anonimo e sconosciuto, i cui palazzi volgono le loro facciate su un mare mosso, impetuoso, sconfinato e ancora una volta blu. Un mare a cui Ermanno posa spesso il pensiero e il suo sguardo, non per caso le pareti della sua stanza sono tinte di azzurro, contemplando una libertà distante e inafferrabile dal grigiore del suo quotidiano. Questo finché non nasce la piccola Sole e i cuori si scaldano e chi era chiamato a fingersi soleepadre, arriva a sentirsi tale e decide di riscattarsi riappropriandosi della propria forza vitale e intraprendendo un duro cammino di responsabilità. Dalle macchinette alla ricerca di un lavoro, da uno sguardo alienato ad occhi sinceri e pieni d’amore, da muri e barriere fisiche a dolci carezze, Ermanno si trasforma, gradualmente e con forza. Dall’altra parte, Lena si trova ad affrontare i conflitti interiori che nascono dal contatto con sua figlia nei primi giorni di vita, l’affezione immediata che ne consegue e un sentimento inaspettato con quello che prima era solo uno sconosciuto nella sua vita. Una frase rompe il lungo silenzio: “Se vuoi, puoi scegliere di tenerlo”. Il pianto implacabile di un bebé fa capolinea nella vita di entrambi, ma insieme a questo anche tutta la tenerezza e innocenza di una nuova creatura tanto indifesa e che ha necessariamente bisogno di tutta l’attenzione e amore della sua mamma e “papà”.
Questo film nasce proprio da una domanda che il regista si porta con sé fin dalla giovinezza: Cosa significa diventare padre, diventare genitore? Cosa si prova a posare lo sguardo su una creatura appena nata di cui ti devi prendere cura, di cui ti senti responsabile?
solesErmanno e Lena ce lo dicono bene con un gioco di sguardi e parole taciute che scandiscono il film e ci fanno da portale nella scoperta dei due personaggi, così distanti e apatici, i cui destini si intrecciano dando loro la possibilità di scegliere di ritrovare la luce, il calore dei raggi del sole, costruendo un futuro insieme.
Carlo Sironi ci porta un caso limite, quello della maternità surrogata e il traffico dei neonati, e lo fa con il massimo del rispetto e rigore. La sua è una regia calibrata, minimale e pulita, come le parole di una sceneggiatura che sembra misurata col contagocce. Eppure, questa sua sobrietà, sembra insegnarci che il cinema, come quello delle origini, può riuscire ancora a emozionarci e appassionarci senza bisogno di troppi orpelli o di dover per forza far chiasso e correre spediti. Carlo ci mostra anche come non occorri un grande budget, una complessa produzione o attori di grido (il protagonista è interpretato da Claudio Segaluscio, attore non professionista) per realizzare una pellicola solida e di tutto rispetto. Sole al momento è stato distribuito in circa 28 sale in Italia, con un incasso di appena 23 mila euro, dovendo scontrarsi con i grandi big del cinema americano che sfiorano incassi di decine di milioni di euro. Prendiamo l’esempio del Leone D’oro al Festival di Venezia 2019, Joker, vero e proprio fenomeno sulla bocca di tutti, ha superato nell’ultimo weekend la soglia dei 25 milioni riconfermando un successo inarrestabile per un film che si tiene stretto alle poltrone dei cinema italiani da ormai 4 settimane e continua la sua programmazione in quasi 400 sale.


Tornando al nostro Sole, anch’esso in concorso nella sezione Orizzonti alla 76. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, probabilmente dopo appena due settimane la sua finestra distributiva volge al termine, con appena 9 sale che lo hanno tenuto in programmazione lo scorso week-end e poche roccaforti del cinema indipendente, come il cinema Beltrade e Mexico di Milano, che ne hanno percepito il valore artistico e culturale e combattono per mantenerlo in vita oltre la data di morte imposta dal mercato.  Son dati che certamente ci fanno porre delle domande e riflettere sul futuro del cinema italiano e sul valore di piccole produzioni come quella di Sole. Nonostante ciò, chi come ha avuto a fortuna di vedere questo piccolo tesoro in sala non può che farsi testimone di un cinema italiano che ha ancora molto da donarci e che brilla nascosto nel ventre profondo della nostra terra, del nostro mare azzurro…

Samuele P. Perrotta

Sole

Regia: Carlo Sironi. Sceneggiatura: Giulia Moriggi, Carlo Sironi, Antonio Manca. Fotografia: Gergely Poharnok. Montaggio: Andrea Maguolo. Musiche: Teoniki Rozynek. Interpreti: Sandra Drzymalska, Claudio Segaluscio, Bruno Buzzi, Barbara Ronchi, Vitaliano Trevisan. Origine: Italia e Polonia, 2019. Durata: 102′.

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