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Venezia 79: aspettando il Leone alla carriera a Schrader

Questa sera, 3 settembre, a Venezia verrà celebrato con il Leone d’Oro alla carriera il regista e sceneggiatore Paul Schrader. Figura di spicco della Nuova Hollywood, movimento di “pensieri sul cinema” che dalla fine degli anni 60 ha rivoluzionato l’immaginario statunitense partendo dalla lezione dei classici americani e dei cineasti delle avanguardie europee, Schrader si è mosso come autore indipendente dai dettami dell’industria e come sceneggiatore: Pollack, De Palma, Weir, soprattutto Scorsese, un autentico sodalizio il loro, firmando capolavori come Taxi DriverToro scatenatoL’ultima tentazione di Cristo.
Affermatosi alla regia a livello internazionale con American gigolo (1980) e subito dopo con il remake de Il bacio della pantera, lo scorso anno, proprio a Venezia, Schrader aveva presentato in concorso l’ottimo Il collezionista di carte, ingiustamente snobbato dalla giuria.

Nel frattempo i primi giorni di Mostra del cinema hanno regalato alcuni buoni film dal concorso e dalle sezioni laterali. C’era attesa per il film di apertura del regista indipendente Noah Baumbach: ispirato al romanzo di Don De Lillo, White Noise traccia un filo tra anni 80 e america contemporanea, ponendo al centro (ancora una volta nel cinema di Baumbach) la famiglia come allegoria della società americana. Forte di attori che ormai sono parte della sua factory, e ci riferiamo a Adam Driver e Greta Gerwig (partner nella vita del regista), Baumbach riesce a tenere saldi registri diversi e a rendere caldo ciò che dovrebbe essere gelido, familiare ciò che è surreale. Non ci sarebbe da stupirsi se arrivasse in zona premi.

Cate Blanchett

Mentre meno compatto è TÁR. L’opera di Todd Field (nelle nostre sale i primi di novembre), un film sull’esercizio del potere e le sue deviazioni fino alla caduta nell’abisso più profondo, è il ritratto della prima donna divenuta direttrice di una grande orchestra tedesca, Lydia Tár, personaggio deciso, risoluto, una che in casa “porta i pantaloni” e anche fuori, visti i comportamenti prevaricanti con gli allievi. I problemi iniziano quando una sua ex studentessa si suicida e la famiglia incolpa Lydia. Todd Field (noto come attore ma già regista di una pellicola notevole come In the bedroom) costruisce il film sulla sempre eccezionale performance di Cate Blanchett, gigantesca nel declinare il ventaglio emotivo della musicista despota e manipolatoria, poi disfatta, lacerata. L’impressione è però che il film perda di tensione verso il finale. Da rivedere sicuramente.

Delude invece A Couple di Frederick Wiseman (classe 1930!), film cortissimo, se paragonato alle opere fluviali di pura osservazione che hanno indagato negli anni luoghi unici che diventavano centri nevralgici dove indagare la vita nei suoi diversi aspetti. Wiseman questa volta stringe il campo a un solo personaggio in uno spazio teatrale: ispirato ai diari di Leo Tolstoj e di sua moglie Sofia, trentasei anni di matrimonio e tredici figli, A Couple è un monologo di 64′ che prende spunto dalle lettere che marito e moglie si inviavano pur vivendo nella stessa casa e dalle pagine dei rispettivi diari, che spesso leggevano agli amici che invitavano a cena. Sofia (Nathalie Boutefeu) ne descrive i momenti di tensione e di insoddisfazione, ma anche le poche gioie che si altalenavano ai tanti dolori. Problemi di ritmo e di struttura minano il film che perde da subito di intensità.

da Venezia, Vera Mandusich

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