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Viva la sposa

viva_la_sposa_locandina“L’essere umano è buffo, meglio il burattino”. Ascanio Celestini, per bocca di Nicola, suo alter-ego in Viva la sposa, così apre il suo ultimo film. Una dichiarazione precisa, che ribaltando il senso del Pinocchio di Collodi, segna la crisi esistenziale non solo del personaggio Nicola, ma di tutti i protagonisti di questo racconto corale. C’è appunto Nicola, alcolista che vive intrattenendo i bambini nelle feste di compleanno, Sofia (Alba Rohrwacher), ex di Nicola che sogna di andare a vivere in Spagna, Sasà (Salvatore Striano), che campa tra piccole truffe e “lavoretti” per il malavitoso Concellino (Corrado Invernizzi), infine la prostituta Anna (Veronica Cruciani), madre del quasi adolescente Salvatore, di cui Nicola si occupa assiduamente come fosse un padre adottivo. Girano tutti intorno ad un bar in un quartiere romano, il Quadraro, dove, si capisce, il degrado e la deprivazione sociale sono la norma.
Rispetto a La pecora nera, lo sguardo di Celestini si allarga alla collettività e, pur mantenendo lo stesso approccio, ovvero il vivo desiderio di scandagliare il reale (come fosse un documentarista) per identificare le cause che determinano le tragedie umane, Viva la sposa a tratti risente proprio di una narrazione preoccupata di arrivare al finale violento, anzi ad uno dei finali: quello che chiude la vicenda di Sasà e che prende spunto dai tanti di casi di pestaggi brutali per mano dei tutori della legge ai danni di individui ai Viva-la-sposa1margini della società. Si pensi ai vari Cucchi, Aldovrandi, Uva. Il regista, animato dalla volontà di dar voce a chi solitamente è destinato al silenzio, dall’urgenza di mostrare gli scorci deprimenti della capitale, i sobborghi del sottoproletariato (si può ancora dire sottoproletariato?) della Suburra romana, quelli lontani dai riflettori degli scandali, sacrifica volutamente la compattezza del racconto, per frantumare, spezzettare, frazionare, masticando il tutto nella metafora scoperta della sposa straniera rincorsa dai giornalisti come fosse Anita Ekberg. Così facendo, da un lato rimarca l’isolamento dei personaggi, dall’altro rischia però di cadere nell’aneddotica.


La prima metà del film, tragicommedia pura, intrattiene senza scossoni, che arrivano a capovolgere le esistenze dei protagonisti sul finale, affondandoli nella melma delle loro malferme esistenze. Tutto è pervaso di un pessimismo da cui è difficile smarcarsi, che rimane attaccato, senza però essersi del tutto innamorati di nessuno dei disgraziati che popolano il film, come invece accadeva ad esempio di fronte ai disgraziati di Pasolini. Questo nuoce non poco al film (co-prodotto tra l’altro dai Fratelli Dardenne), che resta in ogni caso, insieme al magnifico Non essere cattivo di Caligari, uno dei ritratti più cupi della periferia romana.

Vera Mandusich

Viva la sposa

Regia e sceneggiatura: Ascanio Celestini. Fotografia: Luca Bigazzi. Montaggio: Cecilia Zanuso. Interpreti: Ascanio Celestini, Alba Rohrwacher, Salvatore Striano, Corrado Invernizzi, Veronica Cruciani. Origine: Italia/Belgio/Francia, 2015. Durata: 85′.

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