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Berlinale 74: riflettori sul film iraniano, delude Cocina

Un bel film iraniano in concorso nella seconda giornata della 74° Berlinale. È My Favourite Cake di Maryam Moghaddam e Behtash Sanaeeha, già in competizione a Berlino nel 2021 con Ballad of a White Cow. Stavolta la coppia di cineasti, che non hanno potuto essere presenti al festival in quanto il governo ha ritirato loro il passaporto, ha cambiato genere: dal dramma fatto di dilemmi morali sulla giustizia si passa a una commedia. Un genere rarissimo nel panorama del cinema iraniano che circola all’estero, ma una commedia sentimentale a tutti gli effetti, per quanto ci siano inevitabilmente dei lati drammatici.
Protagonista è la settantenne Mahin, vedova da trent’anni, che vive sola in una casa con giardino che è la sua unica gioia, mentre i figli sono all’estero da tempo. Si sveglia tardi la mattina perché non dorme la notte e sempre più raramente vede le amiche per un pranzo o un tè. Nonostante i problemi alle ginocchia, cerca di restare attiva, va a passeggiare al parco, dove vede una ragazza rimproverata dalla polizia morale perché non indossa bene il velo, la difende, riesce a non farla portare via e la incita a ribellarsi. Mahin ripete di avere imparato cose con l’avanzare degli anni. Pranzando in un ristorante, ascolta i discorsi dei tavoli vicini e si accorge di un tassista coetaneo, Faramarz, anch’egli solo. Lo cerca, lo aspetta, si fa accompagnare a casa e poi lo invita a prendere qualcosa. È un incontro insperato, ma forse lungamente atteso dai due, che all’improvviso hanno la sensazione che non tutto sia già finito. I due registi sono molto critici con i quarant’anni di Repubblica islamica, criticando il regime, rimpiangendo il tempo in cui lo hijab non era obbligatorio o si potevano bere alcolici liberamente. Una commedia agrodolce sull’amore tra anziani, nella quale fa sempre capolino la realtà. Un film insolito, con alcune gag molto riuscite, ben scritto, curato ed efficace. Da applausi l’interprete Lily Farhadpour che si candida subito a un premio.

La Cocina, cast

Molto deludente invece La Cocina del messicano Alonso Ruizpalacios, che si era segnalato Gueros e Museo – Folle rapina a Città del Messico, ma già in Una película de policías – A Cop Movie aveva dato segni di involuzione.
La ventenne messicana Estella, appena arrivata a New York, si reca al ristorante The Grill in cerca del compaesano Pedro. Rocambolescamente riesce a farsi assumere per uno scambio di persone ed entra nella grande cucina dominata da uno chef e dove ogni cuoco è geloso del suo reparto e della propria specializzazione. La stessa mattina il proprietario scopre un ammanco di circo 800 dollari dalla cassa e mette tutti sotto pressione per conoscere l’accaduto. Ruizpalacios vorrebbe raccontare il lavoro frenetico dei ristoranti (“un lavoro per giovani” dicono) e le storie dei lavoratori, quasi tutti immigrati e alcuni senza permessi, come lo stesso Pedro. Il problema è stilistico, con gli insistiti ed estenuanti piani sequenza a seguire Estella in tutti i corridoi (si impiega mezz’ora per arrivare alla cucina) a imitare il connazionale Alejandro Gonzales Inarritu. La prima metà delle oltre due ore di film vedono la macchina da presa in movimento frenetico, fino a un allagamento che cambia le cose e lo stile diventa un po’ più tranquillo, ma non più preciso. Il regista ostenta, vuole stupire, ma ha poco da dire, il film è ambizioso, quanto vuoto e superficiale, girato in un inutile bianco e nero che lo rende arrogante come alcuni dei personaggi.

Ora arriva il primo film italiano in concorso, Another End di Pietro Messina con Gael García Bernal, Renate Reinsve e Bérénice Bejo, che sarà nelle sale dal 21 marzo. La norvegese Reinsve, rivelatasi con La persona peggiore del mondo per il quale fu premiata a Cannes, è stata protagonista anche ieri con A Different Man dell’americano Aaron Schimberg al fianco di Sebastian Stan.

da Berlino, Nicola Falcinella

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