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Diamante nero

diamante-neroPotrebbe già essere un marchio di fabbrica per Céline Sciamma: dopo Naissance des pieuvres (purtroppo inedito in Italia) e Tomboy, ancora un racconto che vede protagoniste giovani donne in cerca di identità. Con Band de filles, tradotto dalla distribuzione Teodora Diamante nero, la regista francese, classe 1978, torna all’adolescenza come nel film d’esordio.
La protagonista è la sedicenne Marieme che vive in un appartamento situato nella più marginale delle periferie parigine. Con lei due sorelle più piccole, un fratello manesco che interpreta il ruolo del padre (assente) e che, confinato nella sua camera, è ingranaggio di una rete di spacciatori locali, infine una madre impegnata in turni terrificanti di lavoro come donna delle pulizie. Marieme, che di scuola non vuole saperne, si lascia agganciare da un gruppo di coetanee, una piccola banda di ragazze senza regole. Vivere alla giornata e giocare a fare le dure, tutto qui il loro assoluto presente. Un Bling Ring senza le ville delle star da svaligiare. La noia ammazzata costringendo a vuotare le tasche qualche ex compagna di scuola, “pizzicando” negozi nei centri commerciali, pagando una stanza d’albergo solo per fumare e bere, al limite ballare con addosso abiti ovviamente rubati; qualche rissa, tanto per definire ruoli e supremazie territoriali.
Le vuote adolescenti della Coppola restano lontanissime, non solo geograficamente, ma culturalmente. Se un’attinenza può esserci è Diamante-Nero-ballola devianza, innescata dal cortocircuito tra domanda e offerta, e non intendiamo la relazione tra acquirente e merce che sostiene il mercato. Piuttosto, sullo sfondo delle metropoli, che sono un enorme ubriacante ipermarket di immagini e golem, la domanda “chi sono” resta in superficie come il graffito in carboncino su un muro sotto la pioggia. E non c’è voce adulta a brillare sufficientemente per farsi iconografia del futuro prossimo. Marieme, le sue amiche, le sue rivali, tutti i branchi di quartiere, orfani di idee, impegnano le giornate con spostamenti frammentari e incerti, una rapsodia che non trova armonie se non in rari casi. In albergo ad esempio, le quattro ragazze, svestite dei giubbetti in pelle, ballano in abiti attillati sulle note di Diamonds di Rihanna. Un attimo di grazia che si dilata fino a penetrare le coscienze e a scrivere in loro il tema portante di un’amicizia condivisa e totale, così come è sognata in adolescenza.
Dirigendo uno stuolo di attrici esordienti, Céline Sciamma si innesta nella tradizione migliore del cinema di formazione dedicato all’infanzia e all’anticamera dell’età adulta (e che in Francia – scontato scriverlo – ha goduto del genio di grandi cineasti), seguendo un percorso coerente di esplorazione dell’identità sessuale e culturale, in un contesto (non solo le banlieue come in questo caso) ancora caratterizzato da pressioni sociali, da schematismi e quadrature forzate. L’omosessualità vera, presunta, o solo percepita, questa volta non è centrale nel racconto. Marieme accetta il cambiamento come prova e bande-de-fillesle iniziazioni come strumento di accesso a territori nuovi, ma vive le esperienze interrogando costantemente chi ha di fronte: l’amica Lady, che la battezza Vic, il fidanzato che pensa di amare ma che la vorrebbe già donna del focolare, il fratello e la madre, uno presenza ingombrante, l’altra assenza pesante seppur giustificata; interroga infine il proprio corpo in abiti e capigliature diverse, armature adattate alle piccole battaglie personali che dovrebbero allontanare l’idea di vita come noiosa sopravvivenza. E che siano solo simulacri è pacifico. Lo sguardo resta lo stesso, la regista ne filma con attenzione tutte le sfumature e con movimenti di macchina sempre delicati asseconda gli assestamenti del corpo non più acerbo, che cerchi equilibrio sui tacchi o dribbli avversari in un campo di football, come nel folgorante incipit (quasi una dichiarazione di intenti). I neri che separano i diversi capitoli del film, sottintendono un passaggio temporale non definito nella misura ma percepito come un abisso. E ad ogni nero il film potrebbe terminare, se non fosse che la finestra aperta sulla vita di Mariame si allarga per decretare la fine perentoria dell’infanzia e l’arrivo dell’ospite inquietante (per dirlo alla Galimberti). Invero l’ultimo segmento risulta quasi superfluo: un tratto lineare poco sorprendente, dopo la sinuosità seducente con cui è stato costruito il racconto fino a quel momento, un susseguirsi di pieni e vuoti, dalle architetture delle periferie alle architetture psicologiche, le une e le altre abitate dall’incertezza.

Alessandro Leone

Diamante nero (Band de filles)

Regia e sceneggiatura: Céline Sciamma. Fotografia: Crystel Fournier. Montaggio: Julien Lacheray. Musiche originali: Para One. Interpreti: Karidja Touré, Assa Sylla, Lindsay Karamoh, Marietou Touré, Idrissa Diabate. Origine: Francia, 2015. Durata: 112′.

https://www.youtube.com/watch?v=xUqyYtOGnV0

 

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