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Intervista a Francesco Ballo: l’importanza di essere Buster

Dopo aver recensito il libro di Francesco Ballo Il cinema di Buster Keaton – Sherlock Jr., edito da Falsopiano, Giulia Colella ha incontrato l’autore in Accademia di Belle Arti di Brera, dove Ballo insegna Storia del cinema e del video. Riportiamo interamente la loro lunga chiacchierata intorno al cinema di Keaton.

coverNel suo libro analizza Sherlock Jr. e spiega ampiamente perché ha scelto proprio questo film. Quando ha “incontrato” Buster e che cosa l’ha affascinata?
Il mio approccio al cinema è stato quello di un cinefilo sempre alla ricerca di nuovi film. Nel ’68 o  ’69 ho scoperto Dreyer e Buster Keaton nelle cineteche e nei cineclub. In quel periodo di Buster veniva proiettato The cameraman. L’amore è scattato subito perché mi sono trovato davanti ad un uomo straordinario, non paragonabile a nessun altro attore o personaggio cinematografico. Era così diverso, deviante, sorprendente oserei dire, che non potevo non voler vedere tutto quello che aveva girato. Ho cominciato dai corti degli anni Venti ed ho poi proseguito con i lungometraggi. In quel momento arrivava tra l’altro nelle sale italiane Film di Alan Schneider (ma firmato da Samuel Beckett), una delle ultime interpretazioni di Buster Keaton.

Perché c’è stata così poca attenzione nello studio di Keaton, che ancora oggi viene spesso ricordato solo come attore del cinema muto o come “rivale” di Chaplin?
Credo sia dovuto in parte alle mode. Keaton, come molti altri, ha avuto il suo massimo successo ai tempi del muto. Con l’avvento del sonoro e della commedia musicale, che implica meccanismi comici profondamente differenti, si è perso il contatto del personaggio con l’uomo dietro alla macchina da presa. Il passaggio ha portato alla stasi di alcune carriere e ha condannato certi autori all’oblio. Fortunatamente la critica ha riscoperto Keaton negli anni Cinquanta… ma spesso questa arriva in ritardo rispetto alla memoria collettiva. Lo stesso Keaton racconta nella sua autobiografia che, mentre sbarcava a Genova, un gruppo di operai lo riconobbe e cominciò a gridare “Booster!”. Era il 1952 e loro non si erano dimenticati di che grande divo lui fosse stato trent’anni prima.

Nel suo libro affronta in maniera analitica e microscopica il montaggio di Sherlock Jr.. Ha sempre sentito che un lavoro così complesso ed impegnativo poteva avere un senso? Se sì, quale nello specifico?
Ho sempre creduto che per studiare il cinema bisogna partire necessariamente dai film. Ecco perché nel 2000 ho pubblicato un libro nel quale analizzavo le 197 inquadrature di One week, dopodiché sono passato a Sherlock Jr.. Ho capito che solo mostrando la composizione del quadro ed il ritmo spazio/temporale della scena si può entrare in contatto col linguaggio dell’autore e si può quindi arrivare a comprenderlo. L’ho fatto anche con John Ford, Jacques Tourneur, sdoppiamentoAnthony Mann, per Roscoe Arbuckle. Quando nel 1982 ho scritto il primo libro su Buster Keaton (Buster Keaton, Mazzotta, 1982. Riedizione del 1995 a cura di Effettonotte/Gialloverde, nda) usando come riferimenti i fotogrammi dei film e non le foto di scena, mi sono accorto che la dinamicità acrobatica di quest’autore poteva essere spiegata solo così.

Ci sono stati elementi inaspettati che sono venuti alla luce mentre lavorava al libro? Quale l’ha maggiormente sorpresa?
Ce ne sono parecchi in Sherlock Jr., ma il più sorprendente per me è stato l’attraversamento dello schermo da parte del protagonista. È come se, in quella fase dell’opera, ci fosse uno specchio in realtà inesistente ed è come se esso rappresentasse il predominio cinematografico dell’apparire sull’essere. Quello che io chiamo “pragmatismo keatoniano” è proprio questo, ossia la creazione di una finzione filmica ed estetica che, pur non essendo reale, apre una strada inaspettata verso la verità. L’attraversamento dello schermo comporta però anche un’estremizzazione della sperimentazione tecnica già avviata nel precedente The Playhouse. Lì Buster può moltiplicarsi in nove grazie alle invenzioni fotografiche di Elgin Lessley, che gli permetteva attraverso la doppia esposizione ed un mascherino, di essere sullo schermo ma anche fuori. In questo modo riuscirono, calcolando al millimetro la posizione della macchina da presa, a girare i gag sul palco in locations vere, evitando così il fastidio del fascio luminoso della proiezione sullo sfondo.

Possiamo dunque dire che per Keaton il cinema non è né finestra né cornice perché è invece un luogo nel quale è possibile scavalcare l’immaginabile?
Sì, assolutamente. Inoltre una costante del cinema di Keaton è un’attentissima riflessione sul mezzo usato e sull’immaginario. Non possiamo non considerare che gli anni Venti sono anche gli anni delle avanguardie artistiche ed infatti Sherlock Jr., che è del 1924, arriva in contemporanea col primo manifesto del nelloschermoSurrealismo europeo. Poi bisogna ricordare che Keaton si è formato nel vaudeville e che è perciò sempre stato a strettissimo contatto col pubblico. È andato a scuola un giorno solo, ma ciò che ha imparato dagli spettacoli dei suoi genitori ha sempre saputo tradurlo in trovate cinematografiche ineguagliabili per ingegno e fantasia. Lui apprende il cinema tra il ’17 ed il ’19 lavorando come attore per Roscoe “Fatty” Arbuckle. La riflessione sulla messa in scena ed il montaggio passa per Keaton anche attraverso la sua particolarissima espressività, caratterizzata sì da quello che è stato poi definito un “volto di pietra”, ma anche dalla sottile e straordinaria volontà di cercare continuamente lo sguardo della macchina da presa e quindi, ancora una volta, il contatto col pubblico.

Nel finale di Sherlock Jr. il protagonista è appena uscito dal film eppure, per conquistare l’amata, rivolge nuovamente lo sguardo allo schermo per capire come procedere. Qual è quindi, in definitiva, il ruolo del cinema per Buster Keaton?
E’ fondamentale sia come mezzo artistico che come luogo. Non è un caso che questo lavoro si apra col personaggio di Buster che, seduto in fondo al cinema, studia per diventare un detective e che si poi sogna in un film simile a quello proiettato, ma nel quale lui interpreta il grande investigatore Sherlock Jr., e che i al_cinemasuoi amici e nemici reali si dividano le altre parti in base alle attitudini caratteriali mostrate nella vita vera. Quando la dissolvenza incrociata della macchina che affonda porta Buster a cadere dal seggiolino e quindi a svegliarsi (tra l’altro per l’epoca è inverosimilmente buffo che la proiezione continui mentre il proiezionista dorme beato), noi con lui torniamo alla realtà. La sequenza di campi e controcampi successiva la dice già molto lunga sulla perspicacia del ragionamento di Keaton riguardo all’identificazione dello spettatore cinematografico, ma sul finale aggiunge anche una spiccata nota d’ironia. Infatti sullo schermo una dissolvenza in nero separa il bacio degli amanti dalla loro immagine di coniugi con figli e così Buster, che ne sta copiando le azioni, può solo grattarsi la testa sconcertato. In questo modo così enigmatico e poetico, ognuno viene quindi lasciato libero di interpretare il messaggio dell’autore come preferisce.

Nel capitolo Confronti del suo libro vengono associate alcune scene di Sherlock Jr. a quelle di altre pellicole. Come si affronta un lavoro del genere?
Conoscendo l’opera, infatti non faccio solo confronti interni alla filmografia di Keaton, ma mi riferisco anche ad autori come Roscoe Arbuckle e Mack Sennet. Ma anche Dziga Vertov: ho paragonato la platea di Sherlock Jr. a quella del film L’uomo con la macchina da presa. Avrei potuto citare molti altri lavori. Si tratta di un procedimento volutamente aperto, ma che sentivo di voler fare per andare oltre la semplice analisi di un’opera.

attraversamentoLei ricostruisce anche la filmografia di Keaton, che inaspettatamente non era mai stata completata dagli storici del cinema. Nello specifico, che difficoltà incontra uno studioso del cinema muto nel raggiungere le fonti?
Io avrei potuto prendere la filmografia che avevo elaborato per il mio libro del 1982, che comunque era già abbastanza approfondita, ma che si basava su altri testi. Invece qui ho voluto essere il più preciso possibile riguardo al Buster Keaton sonoro, Buster Keaton alla MGM, Buster Keaton alla Columbia. Pian piano ho diviso le varie sezioni e, prendendo spunto da un seminario che avevo fatto con Luca Mosso, mi sono focalizzato anche sui due film che Keaton ha girato in Italia diretto da Claudio Gora e Luigi Scattini. Chiaramente le filmografie estere non ne tengono conto, ma questi lavori esistono e pertanto andrebbero ricordate. Oltre ai film più conosciuti esiste tanto materiale televisivo e pubblicitario da considerare e che mi sono fatto mandare da ogni parte del mondo per averne conoscenza. Laddove ciò non mi è stato possibile, ho citato le filmografie che ritenevo più precise.

Lei confronta anche moltissime versioni di uno stesso film, che magari variano tra di loro per pochi secondi di differenza, ma che spesso sono sufficienti a cambiare in parte l’opera in oggetto. Lo spettatore medio ne è consapevole?
Davvero non saprei. Di uno stesso film ci sono versioni che differiscono di poco, anche in commercio, e non mi riferisco solo al numero di fotogrammi o addirittura a intere inquadrature mancanti, ma anche – per i film del muto – all’accompagnamento sonoro, a volte completamente sballato. E poi ovviamente lo stato della copia in pellicola da cui si parte per arrivare al DVD. Oggi chi restaura vecchi film deve porsi una serie di interrogativi per arrivare a restituire al pubblico un film quanto più possibile vicino all’originale. Di Sherlock Jr. purtroppo esistono in commercio versioni terrificanti.

a cura di Giulia Colella

francescoballoOltre ai testi citati, Francesco Ballo è autore di saggi e libri tra cui: Attraverso il comico: dalle origini oltre il sonoro, Varese, Assessorato alla Cultura, 1985; Omaggio a un censurato permanente: Roscoe Fatty Arbuckle, in «Griffithiana» n. 29-30 per Le giornate del cinema muto di Pordenone, settembre 1987; John Ford. Sfida infernale, Torino, Lindau, 1991;  Traccia comica, con Paola Baroncini, Milano, Grafica Uno, Giorgio Upiglio, 1991; Il cinema noir di Anthony Mann, Aosta, Q Art-Ed, 1994; Buster Keaton. One Week, Quaderni dell’Accademia di Belle Arti di Brera, Torino, Lindau, 2000; Introduzione a The General di Buster Keaton, Aosta, L’Eubage, 2001; Note su Hard Luck di Buster Keaton, in «Griffithiana» n. 73-74 anno XXV, Pordenone, 2004; Jacques Tourneur. La trilogia del fantastico, Alessandria, Falsopiano, 2007 (Premio Internazionale Maurizio Grande VI edizione). Nel 2013 Tutti i film di Clint Eastwood  (del 1987) è stato rieditato  con il titolo Alba di gloria. Il cinema di Clint Eastwood dagli esordi a Hearthbreak ridge, con Riccardo Bianchi (a cura di Alberto Crespi), Roma, Castelvecchi.

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