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Io e lei

ioeleiCinema. Pop corn. E storia d’amore. Grande amore. Lacrime. Che si può chiedere di più? Sì, perché in fondo, diciamocelo, che cosa piace più di una storia d’amore, specialmente a noi donne? Forse è su questo che ha pensato di far leva Maria Sole Tognazzi quando ha scelto di girare Io e lei. Ma non solo. Perché la storia d’amore di una coppia solida, che attraversa una prevedibile crisi da stanchezza, ma che sa trovare alla fine la forza di superarla, sì, insomma, questa storia l’abbiamo già sentita, già vista, più e più volte. E allora la regista introduce la variabile, che oltre a puntare sul sentimentale, provoca lo spettatore, ma soprattutto la spettatrice, facendo leva sul suo orgoglio di donna e sul suo diritto di esserlo senza dover essere per forza madre, moglie o amante. Lo dice chiaramente Marina (Sabrina Ferilli) a Federica (Margherita Buy), basta identificarsi con i ruoli che gli uomini della tua vita ti hanno imposto, a cui la società (maschilista) ogni giorno ti richiama, basta rinunciare alla tua identità di donna come donna. E se vivere fino in fondo la propria femminilità vuol dire anche saper ammettere la propria omosessualità, imparando ad accettarla, a non vergognarsene, a superare l’ostacolo del pregiudizio, allora è giusto farlo, e farlo fino in fondo, senza cedimenti, ripensamenti e titubanze. La io_e_leipiccola femminista che c’è in ognuna di noi esulta e tifa energicamente per l’insicura Federica e per la sua storia con la spavalda e coraggiosa Marina. Ma non è forse un copione già visto? Se non si parlasse di un amore tra due donne, ma magari di un amore tra due uomini, o tra un uomo e una donna di età diverse, magari di culture, tradizioni o religioni differenti (un esempio è L’amore non perdona di Stefano Consiglio), non è forse una storia già sentita, quella dell’amore che trova la forza di sconfiggere ogni ostacolo e pregiudizio e di trionfare su tutto? Senza tornare fino a Romeo e Giulietta, i casi (letterari, cinematografici e non solo) sono tanti, tantissimi, nemmeno si contano più. Come ha dichiarato in un’intervista la regista, “questo film non è un film che vuole sottolineare una storia diversa, ma che vuole sottolineare una storia uguale”. Ecco, possiamo dire che ci sia riuscita perfettamente: una storia uguale a mille altre che, c’è da chiedersi, era davvero necessario raccontare ancora una volta? Forse sì, perché di amori tutti al femminile non si parla molto, non abbastanza forse. Ed è giusto farlo, indubbiamente. Ma c’è modo e modo. Perché della storia di Federica e Marina c’è poi tutto un altro aspetto di cui il film ci parla: di come l’amore tra le due donne sia un amore assolutamente normale, che conosce le sue gioie e i suoi piaceri, così come le sue crisi, le sue incomprensioni, i suoi silenzi. Ma c’era davvero bisogno di dirlo? Chi avrebbe mai pensato il contrario? Lo stupore, quello stupore dettato dalla “stranezza” di cui ci parlava l’Ozpetek di Le fate ignoranti e che vedeva la Buy esattamente dalla parte opposta (anche se sempre ugualmente tesa, nervosa, insicura), in questo film non c’è, non dev’esserci: lo impone la political correctness. Ma lo stupore è in realtà già quello della regista, quando sente il bisogno di raccontare una normalità che fa fenomeno proprio nella sua anormalità.
Ma non è finita. Tanti sono i piccoli, sottili messaggi che ci vengono lanciati. Che i mariti a un certo punto ti lasciano e si risposano con una che ha la metà dei loro anni, che ci fanno un figlio e che da un giorno all’altro scoprono la fede. Che gli uomini sono noiosi perché guardano la partita e parlano tra uomini di cose da uomini, senza nemmeno accorgersi che le donne, magari, si sono assentate per ore o per sempre. E allora chi ti capisce meglio, se non una donna? L’universo maschile ne esce distrutto, forse troppo, forse ingiustamente, forse gratuitamente. Meglio l’omosessualità di un uomo assente, è questo il messaggio? La political correctness di cui sopra vacilla.

Significativa nota di colore, che solleva il film dandogli per lo meno un po’ di verve, la travolgente Sabrina Ferilli, irresistibilmente simpatica nella sua tenuta da panterona dark in ecopelle nera e nel suo amore per materassi e divani che ci ricorda tanto insistentemente uno spot cui nessun italiano può non essere affezionato. Anche se, va detto, nella rocambolesca corsa finale, sarà il tacco, sarà l’età, vediamo una donna terribilmente affannata, che si aggrappa al corrimano onde evitare di inciampare ad ogni scalino, più che un’innamorata pronta a riabbracciare la sua dolce metà. Forse era meglio fermarsi alla Grande bellezza: certe cose capitano solo una volta nella vita.

Monica Cristini

Io e lei

Regia: Maria Sole Tognazzi. Sceneggiatura: Francesca Marciano, Ivan Cotroneo, Maria Sole Tognazzi. Fotografia: Arnaledo Catinari. Interpreti: Margherita Buy, Sabrina Ferilli, Domenico Diele, Ennio Fantastichini. Origine: Italia, 2015. Durata: 97′.

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