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1917

Francia settentrionale, 1917, anno in cui nel primo conflitto mondiale entrano gli americani ed escono i russi, a seguito della rivoluzione bolscevica. Due giovani caporali britannici appena diciottenni, Schofield (George MacKay) e Blake (Dean-Charles Chapman) vengono scelti per portare a termine una cruciale quanto difficile missione: attraversare un territorio che potrebbe ancora essere sotto il controllo tedesco per consegnare un messaggio a un battaglione di 1600 uomini, tra cui il fratello di Blake, Joseph. Il messaggio svela una trappola dei tedeschi ordita per accerchiare e sterminare l’intero battaglione. I due soldati partono equipaggiati dello stretto necessario per orientarsi in una missione che pare un suicidio. Il tempo è loro nemico e il territorio da attraversare pieno di insidie. La loro amicizia li tiene uniti fino a quando Schofield sarà costretto a proseguire da solo.

Sam Mendes prende spunto dai racconti del nonno per raccontare la Grande Guerra (L’autobiografia di Alfred H. Mendes 1897-1991). Coadiuvato da un cast tecnico di prim’ordine, a cominciare dal direttore della fotografia Roger Deakins che per questo film ha portato a casa l’Oscar, realizza un film spettacolare, sorprendente dal punto di vista visivo, curato maniacalmente nei dettagli scenografici, ma che, soprattutto nella seconda metà, tradisce il racconto a favore dell’artificio. Realizzato come un unico piano sequenza spezzato in due, facendo ovviamente ricorso a effetti speciali che garantiscono la fluida continuità dell’inquadratura, il regista britannico scommette sulla sospensione dell’incredulità che dovrebbe indurre lo spettatore a non farsi troppe domande circa le tante incongruenze di cui è vittima la trama.
Procediamo con ordine. Schofield e Blake vengono colti in un momento di riposo, sono amici, il primo ha più esperienza ed è già disilluso, il secondo ha un forte amor patrio. Attraversare senza perdere tempo le trincee nemiche, forse abbandonate dai tedeschi, e territori devastati che assomigliano a gironi dell’inferno dantesco è ciò che devono fare i due caporali: la distanza che li separa dalla meta potrebbe essere coperta in otto ore, secondo le stime più ottimistiche. Non passano quindici minuti di film e la coppia di soldati è già in movimento nelle lande desolate prima occupate dai nemici. E’ un percorso pieno di insidie e Schofield quasi ci rimane, non fosse per la prontezza di Blake che invece sarà meno fortunato poco dopo, lasciando Schofield solo, responsabile della sorte di 1600 uomini, e con l’ambasciata in un taschino. Dall’inizio la macchina non ha mai staccato.

Piano sequenza: inquadratura senza stacchi di montaggio, che mettendo in relazione ambienti e personaggi, privilegia l’unità spazio-temporale, identificando il tempo dello spettatore con quello mostrato nell’inquadratura.
Mendes pensa al suo film come un lungo piano sequenza spezzato a metà dal buio in cui sprofonda il suo protagonista quando perde i sensi dopo un conflitto a fuoco. Una ellissi temporale non meglio specificata che prolunga il tempo filmico ma non determina un salto spaziale. Ed è qui che salta l’impianto estetico di 1917, perché il soldato Schofield nei sessanta minuti che ci separano dai titoli di coda percorre uno spazio che avrebbe richiesto quattro volte tanto, stando alle indicazioni iniziali. E’ una libertà che provoca il pubblico a film chiuso, quando calcoli alla mano qualcosa non torna e allora ci si chiede se al regista stesse più a cuore il racconto o il gesto virtuosistico di costruire (ma con l’aiuto massiccio degli effetti speciali) una film/sequenza. E’ una domanda per nulla secondaria, perché il soggetto è la prima delle guerre moderne, una mattanza sanguinosa di innocenti che ha decimato una generazione di giovani nipoti del positivismo. E infatti privilegiando il piano spettacolare della rappresentazione, in tutta la seconda parte del film Mendes smarrisce anche il suo sguardo empatico verso i protagonisti, sacrificando l’emozione. Schofield diventa superumano, schiva il fuoco nemico, cade in una rapida altissima uscendone illeso, passa da scenario a scenario attraverso soglie che assomigliano tanto ai livelli di un gioco. La pausa che si concede in un edificio devastato dove si nasconde una ragazza francese con un neonato è una parentesi patetica che ferma la corsa che dovrebbe essere disperata (visto il tempo perduto in stato di incoscienza). Invece i due trovano anche il tempo di capirsi pur parlando lingue diverse. In un passaggio repentino dalla notte al giorno cala definitivamente il realismo che a quel punto non ha più nessuna importanza. Per cui non delude nemmeno la tanto attesa consegna del foglio che ferma le truppe britanniche a un passo dal massacro, tirato fuori dal taschino perfettamente leggibile, nonostante un lungo bagno nel fiume.

Siamo al cinema. Tutto è lecito. Eppure di fronte al conflitto bellico, nell’anno 1917, qualcosa disturba. Si tratta probabilmente dei morti disseminati come elementi scenografici, fiumi di morti, trincee di morti, corpi giovani che in questa messa in scena diventano osceni, non portano orrore se non quello dell’enfasi superficiale di un grido irrisolto, di una condanna dell’efferatezza dei conflitti senza spessore morale. Nemmeno Salvate il soldato Ryan, con le semplificazioni manichee di Spielberg, aveva ridotto il conflitto a una performance. E’ ovviamente ingiusto paragonare 1917 ad altre pellicole che la Grande Guerra l’hanno tradotta per il cinema con esiti ben diversi (pleonastica qualsiasi citazione). Siamo in un territorio che ha più a che vedere con l’esemplare ricerca di soluzioni visive, sperimentali, con la sfida personale di un regista che da American Beauty in avanti ha spesso utilizzato la narrazione per sferrare colpi ad effetto.

E infatti sono arrivati i Golden Globe alla Miglior regia a al Miglior film drammatico, e poco ci è mancato che arrivassero anche gli Oscar (in realtà tre, ma che premiano la tecnica). Eppure, dopo le magie di Welles o Scola (riguardate Una giornata particolare), dopo Nodo alla gola di Hitchcock (che non aveva a disposizione le moderne tecnologie) o Arca Russa di Sokurov (sperimentatore del digitale in anticipo sui tempi), ma anche del poco lontano Victoria di Sebastian Schipper, abbiamo una certa difficoltà a gridare al miracolo tecnico. La grande differenza è che la necessità del piano-sequenza-film in quei casi era trasparente, strettamente legata al racconto: un vestito perfetto, una coincidenza magnifica tra forma e significato.

Alessandro Leone

1917

Regia: Sam Mendes. Sceneggiatura: Sam Mendes, Krysty Wilson-Cairns. Fotografia: Roger Deakins. Montaggio: Lee Smith. Musiche: Thomas Newman. Interpreti: George MacKay, Dean-Charles Chapman, Mark Strong, Andrew Scott, Richard Madden, Colin Firth, Benedict Cumberbatch, Claire Duburcq, Teresa Mahoney. Origine: Gran Bretagna/USA, 2019. Durata: 110′.

A proposito di 1917, di Gabriele Bellotti

 

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