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8 ½: cinquant’anni e non sentirli.

8 ½  ha da sempre suscitato un certo fascino, un desiderio di scovare la verità nascosta nell’intreccio ricco di simboli proposto dalla fantasia felliniana, che tanto continua a influenzare i cineasti moderni. A cinquant’anni dall’uscita nelle sale si possono ancora trarre inediti spunti di riflessione? Sorprende pensare quanto il dubbio di Guido Anselmi, un Mastroianni più che mai alter-ego di Federico Fellini, sia radicato nella coscienza dell’uomo moderno.

Fellini e MastroianniCiò che più colpisce però non è tanto la crisi esistenziale in cui precipita l’artista, quanto il carosello di personaggi femminili che gli gravitano attorno. Figure che accompagnano Guido nel corso della sua vicenda, quasi a rappresentare carnalmente i difetti e le mancanze dell’uomo. Come gli ricorda Claudia nella celebre scena della fuga la sua incapacità di amare origina sofferenza, non solo per sé stesso, ma anche, e soprattutto, per chi tenta di amarlo. Fellini sfrutta le potenzialità offerte dalla settima arte per compiere un percorso catartico. Il cinema si fa l’unico veicolo possibile per tentare di giustificare la propria natura. Tuttavia il pubblico è empatico, oggi come ieri, e a nulla serve tentare di mistificare la mancanza di un messaggio sotto una struttura, che, seppur tecnicamente elaborata e perfetta, si rivela senz’anima.
Fellini rifiuta il ruolo di guida morale che la società sembra volergli imporre. Lui per primo aveva intuito che anche l’artista è solo un uomo e che proprio per questo non può supplire al bisogno che la persona comune sente di proiettare la propria responsabilità civile su dei simboli. Questa sembra essere la sfida che Fellini tentò di vincere durante tutta la sua carriera. Il suo mondo fatto di feste, giochi, maschere e simbolismi era un preghiera verso un concetto di libertà che possa emancipare l’artista dai dettami comuni.Mastroianni in Otto e mezzo
Nonostante l’intento psicanalitico del film, ancora una volta Federico Fellini riesce comunque a fornire una rappresentazione della società italiana, psicanalizzando non più solo se stesso, ma continuando un’indagine già magistralmente incominciata con La dolce vita (1960). La madre Chiesa diventa il primo ed ultimo rifugio dell’anima spaurita del nostro protagonista, che si consuma nel tentativo di conciliare il passato ed i suoi valori con la formazione di un uomo nuovo attento a rispettare formalmente gli antichi precetti ma che non riesce a crearne di nuovi e nello smarrimento riesce solo ad essere un libertino impenitente.
8 ½ deve la sua forza al fatto di non rappresentare un Io, ma un Noi. Per questa ragione, soprattutto, è così intenso, oltre al fatto di giocare con l’egocentrismo tipico del regista per creare un’opera fortemente personale e di difficile imitazione. Naturale che registi del calibro di Woody Allen, che con Stardust memories (1980) aveva tentato di omaggiare il maestro italiano mettendo in scena la sua particolare idea di crisi, abbiano tendenzialmente fallito nell’intento. Quello che nell’opera felliniana si presentava come un caleidoscopio di punti di vista, viene in questo caso ridotto ad un esperimento unidimensionale in cui manca il dialogo con la collettività. Il regista chiude il proprio dramma in una torre d’avorio, difficile da espugnare. Il tentativo più recente di riportare in auge 8 ½ si deve a Nine (2009) di Rob Marshall. da Otto e mezzoLo scopo, più o meno dichiarato, del regista era quello di rendere appetibile ad un pubblico mainstream il capolavoro felliniano, dimostrando un eccesso di ingenuità difficilmente perdonabile. Passando per Broadway si impoverisce della dimensione mediterranea l’opera originaria, già omaggiata con un balletto made in Italy in occasione del quarantesimo anniversario.
Insomma, la storia non avrebbe mai perdonato Angelo Rizzoli se avesse tenuto fede al suo intento originario di non produrre questo gioiello del cinema italiano. L’Oscar come miglior film straniero che 8 ½ si aggiudicò nel 1964 fu la seconda statuetta data a Fellini, ma sicuramente il premio più grande che il regista ebbe fu la consapevolezza di aver contribuito a cambiare per sempre il modo di fare cinema dei cineasti futuri e di interpretare il ruolo del regista.
Ad un semplice spettatore, come il sottoscritto, rimane il piacere di ritrovarsi tra i fotogrammi di un’anima che non ha avuto paura di mostrarsi nuda ed esporre fino all’estremo i propri desideri, le proprie frustrazioni e debolezze, facendomi sentire parte di qualcosa di infinitamente grande. Conservare questo potere dopo cinquant’anni non è cosa da tutti. Buon compleanno 8 ½!

Nicolò Di Dio

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