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Copyright e morti viventi

Capita, a volte, che ci siano errori di natura umana. Capita, nel concreto, che qualcuno sbagli a compilare le carte e che il risultato sia la perdita dei diritti d’autore su un’opera. Ci sarebbe da ridere, o perlomeno da farne oggetto di una considerazione che viri più verso l’aspetto ameno che verso quello invece più serio. A Romero è successo così, di trovarsi a passare, da un giorno all’altro, a credere di avere pieno possesso di una sua opera per poi accorgersi che quell’opera sua non era più. La perdita dei diritti ha così portato Night of the Living Dead a entrare a far parte delle opere libere da copyright molto prima del normale decorso degli anni (circa settanta dalla morte dell’autore, ma tutto può variare a seconda degli stati e della capacità di imbastire una schiera di avvocati, come per la Disney). La questione che la faccenda di Romero scoperchia, però, apre spazio a una serie di riflessioni che vanno a intaccare il concetto stesso di proprietà intellettuale.

La scelta di far passare un determinato numero di anni, infatti, è ovviamente aleatoria: non esiste alcun imperativo categorico atemporale, nessuna decisione inappellabile, che imponga di aspettare un numero fisso di decenni prima dell’accesso al dominio pubblico. Quello che deve seguirne non è la necessità di rendere libere le opere subito, quanto di rendersi conto di star lavorando in un campo che è, per sua natura, più duttile di quanto non sembri. Se i cambiamenti sono possibili, quindi, in che modo possiamo dirci soddisfatti dello stato attuale delle cose? Dobbiamo forse andare verso un inasprimento della legge vigente (aumentare il numero di anni) o a un suo rilassamento (riduzione di lustri)? Un ragionamento logico potrebbe essere quello che dice che morto l’autore muore chi ha la paternità o maternità di quelle opere, da cui ne deriva che tutto dovrebbe cadere subito nel campo del libero uso (così ha deciso, ad esempio, il fumettista Dave Sim), uso che spesso va al di là del solo consumo. Proprio per questo ultimo motivo ci potrebbe essere invece una ragione da addurre alla conservazione (da parte di chi?) dei diritti, per evitare che chiunque possa appropriarsene e rive(n)dere le opere magari in vesti nuove. Che differenza passerebbe, in fondo, tra una nuova traduzione del Don Quijote cervantino venduta a venti euro e la riproposizione della filmografia intera di Buster Keaton in formato blu-ray?

Presupporre che ogni creazione artistica debba finire subito nel calderone culturale, facendo cadere la barriera del diritto (diritto che si traduce, in soldoni, nella possibilità di sfruttamento mercantile dell’opera), farebbe però pensare più a visioni utopiche inattuabili che a vere e proprie proposte concrete. Lo stesso dicasi dell’impossibilità di far uso di qualsiasi prodotto anche a scopi non di profitto, come può essere la parodia fatta in un contesto di libero scambio di idee (senza, cioè, che nessuna parte ne ricavi nulla). Si tratta allora di cercare di valutare le situazioni una per una, cercando allora di capire quando si dovrebbe parlare di cattivo uso e quando invece di utilizzo corretto. Nulla di impossibile da fare e, in effetti, è quello che la legge già fa; ritorniamo però al punto iniziale, senza che sia stata fatta molta strada per arrivare a una conclusione soddisfacente. Se usare un’opera altrui per i propri scopi è qualcosa che deve essere giustamente regolata, quando esattamente si può dire che i diritti scadano? I settanta (o più, o meno) anni, fermo restando che hanno un valore ovviamente aleatorio, sono comunque una cifra ragionevole?

Una soluzione al problema non è facile da raggiungere, né effettivamente è possibile arrivare a un risultato che soddisfi tutti. Quello che si fa, e che si è cercato di fare, è stato raggiungere un compromesso per quelle opere che hanno una vicinanza non indifferente dal decesso di chi quelle opere le aveva create. Ma, nel complesso labirinto legale, non possiamo dimenticare neppure che spesso i prodotti degli autori non appartengono a loro (o almeno non in toto), quanto alle case produttrici e a quei sistemi bizantini che ingarbugliano una matassa non sempre facile da sbrogliare. Ne è un esempio il problema che si era creato negli anni passati con Blade Runner, dove era difficile capire chi ne detenesse effettivamente i diritti. A chi rivolgersi, nei casi in cui si sia davanti a quello che in inglese è chiamato un “legal limbo”? Non si tratta più, allora, di paternità o maternità, quanto di detenzione di uno o più legami legali con quel determinato prodotto, con tanta pace di chi vorrebbe che le cose fossero più semplici.

Che Romero si sia sentito “fregato” non c’è dubbio, e di ragione per sentirsi tale ne aveva; qui la situazione è quindi molto poco problematica, dato che si trattava di un autore ancora in vita (oggi, invece, riposa sottoterra). Ma il problema del “dopo il decesso” sopravvive e non sembra sia facile dare una risposta coerente e soddisfacente. Si avrà così chi tende più verso la metafora della gabbia che tiene chiusi determinati prodotti (dai film veri e propri ai personaggi stessi, che potrebbero essere riutilizzati) a chi invece mette sul piatto della bilancia la sacrosanta necessità di far valere un possesso legale. È difficile, allora, arrivare a una conclusione (ripetiamo questa affermazione come un mantra, a dimostrazione della complessità dell’argomento): fondamentalmente o si accetta lo stato dei fatti o si lotta (metaforicamente, anche perché il mondo del cinema, per quanto spinga a diverse fuoriuscite passionali, è fatto da gente poco incline alla violenza fisica) per cambiarlo. Ma il come e il cosa, il modo e l’obiettivo, rimangono sempre fermi nella soggettività, nel campo aleatorio del provare a fare in un modo anziché in un altro appoggiandoci al buon senso. È possibile che nel futuro le cose possano cambiare (in bene o in meglio a seconda del punto di vista); cosa ne dovremo dedurre sarà, per questo motivo, un atto intellettuale del momento, contestualizzato, ma nulla ci vieta a prepararci ora e a chiederci se in fondo le cose vadano bene come stanno o se invece dovrebbero subire un mutamento di specie.

Guido Negretti

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