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Il giovane favoloso

Il giovane favoloso. Ovvero Giacomo. Quel Giacomo che abbiamo incrociato nell’adolescenza e che per questo a ben vedere è un po’ di tutti noi, per amore o per obbligo, in una maniera intima, perché inevitabilmente confidenziali sono le sue parole malinconiche o disperate che abbiamo conosciuto (e forse ammirato) sui banchi di scuola, e che ci toccano nostro malgrado perché sempre attraversano con una folgorante urgenza le germano_elio_leopardidomande fondamentali sull’amore, sulla morte, sulla Natura, sul destino di ogni uomo fra gli uomini, sul senso della vita.
E’ proprio questa relazione che inevitabilmente stringiamo da adolescenti con il ragazzo e poi con l’uomo Leopardi – di cui di solito vengono raccontati specialmente gli aspetti biografici legati alla malattia – a essere la questione cruciale nell’avvicinarsi a questo biopic di due ore e venti. L’opera di Martone lunga, in costume, determinata a seguire l’intero arco della vita del grande Giacomo, è per certi aspetti opera fuori tempo, nel quadro della cinematografia italiana odierna, e per questo coraggiosa, nell’intento programmatico di restituire l’uomo, con la sua umanità e le sue passioni, più che il letterato e il filosofo, ma senza tralasciare l’impasto inseparabile di vita e arte, alla ricerca di una forma filmica che esalti questo legame, emozionandoci. E coraggiosa lo è perché forse è una scommessa persa in partenza, come spesso accade per i biopic dedicati ai grandi o ai famosi, dove ciascuno di noi non può che confrontare la sua idea del personaggio con quella dell’autore.
Ma il film di Martone ha una sua freschezza e una forza che in special modo nella prima parte riescono a raggiungere l’obiettivo, raccontandoci la storia di un giovane geniale che sogna la grandezza, animato da passioni diverse: quelle più terrene e quelle intellettuali per la scrittura poetica e per la riflessione erudita, dilaniato fra l’amore e l’obbedienza ai propri genitori e l’insaziabile smania di conoscere il mondo, e dunque di scappare dalla casa paterna. Una preziosa dimora-biblioteca che è anche prigione durissima, in una Recanati marginale, sentita lontana dalle rotte del pensiero e del dibattito, oltre che della politica dell’epoca.
Sono di questa prima parte le scelte registiche più felici, i momenti dove il dolore esistenziale e quello fisico si fondono e si traducono, nell’alternanza di gioia domestica e straziante anelito dell’altrove sognato, in immagini sorprendenti che vanno oltre la pura narrazione, che si fanno poetiche, riuscendo persino a fondersi con le parole del poeta, felicemente.
Sono proprio gli attimi dove il regista si dimentica di dover portare a termine la narrazione della vita di Leopardi e sembra avvicinarsi, e con lui il pubblico, a quel sentire unico, sublime, a quella percezione del mondo, a quella malinconia che sono dell’uomo e del poeta.Il_giovane_favoloso_leopardi
Poi quando il flusso della narrazione sposta il teatro più avanti nel tempo e nell’altrove finalmente raggiunto, seguendo Leopardi a Firenze, a Roma e infine a Napoli, la grazia si appanna, o meglio è a corrente alterna: la narrazione non ritrova una linea unitaria, talvolta si creano soluzioni interessanti – come nella sequenza dell’incontro con gli zii Antici dove attende per ore, in penitenza, di vedere i parenti – ma si perde nella ripetizione di situazioni e luoghi che appaiono quasi identici, nell’unico sforzo di raccontarci che l’intellettuale era un ribelle, molto stimato ma isolato, che l’uomo era un infelice, nella malattia deformante e negli amori non corrisposti, e che la sua vita era una nave alla deriva, tesa fra difficoltà economiche e di salute, senza un porto tranquillo in cui trovare pace. Non torna quindi a toccarci come nella prima parte, sebbene su alcune sequenze si accenda all’improvviso la luce della bellezza e dell’emozione, ritrovando una rara ma mirabile efficacia.
Una riflessione a parte merita l’eccellente interpretazione di Elio Germano (senza nulla togliere all’ottimo gruppo di attori che lo affiancano, primo fra tutti Michele Riondino) che incarna con grande sensibilità un Leopardi personalissimo, accurato nell’uso del corpo e delle espressioni, senza tradire completamente l’immaginario già sedimentato, ma rinnovandolo, e riuscendo a emozionarci anche nella recitazione di alcuni dei capolavori leopardiani, a cui l’attore riesce a togliere retorica restituendo un’umanità e una naturalezza, che forse non avevamo mai potuto apprezzare in precedenza.

Massimo Donati

Il giovane favoloso

Regia: Mario Martone. Sceneggiatura: Mario Martone, Ippolita di Majo. Fotografia: Renato Berta. Montaggio: Jacopo Quadri. Interpreti: Elio Germano, Michele Riondino, Massimo Popolizio, Anna Mouglalis, Iaia Forte, Isabella Ragonese. Origine: Italia, 2014. Durata: 135′.

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