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Il procuratore

procura locaC’era una volta il cinema d’autore, cioè il cinema di chi faceva cinema, e c’era la critica che lo definiva tale perché ci trovava dei risvolti, degli addentellati, persino degli arzigogoli che permettevano agli spettatori di riconoscervi assonanze e sottigliezze, per le quali era lecito scomodare il concetto ombrelliforme di stile. E lo stile si identificava nella maggior parte dei casi con il modo. Oggi c’è il cinema e basta, il che presuppone ancora lo stile, ma spesso nel significato abbastanza cangiante, e apertamente imperscrutabile di maniera. Martin Scorsese fa film alla maniera di Spielberg, Oliver Stone li fa alla maniera di Tarantino, Ridley Scott alla maniera di Cormac McCharty, che non è soltanto uno scrittore, ma un manierista, uno che prende il borderline di Joe Lansdale e lo frulla con il minimalismo di un Raymond Carver. Registi di stile, di modo, di maniera. È una questione di puntigliosità semantica, libertà esegetica o prosaica licenza poetica che dir si voglia, ma è proprio tale puntigliosità ad aver spinto i distributori a sostituire quel counselor della titolazione originaria con un più altisonante, almeno per l’eufonia nostrana, procuratore. Cosa che Michael Fassbender non è, visto che non procura nulla, semmai, appunto, consiglia e riceve consigli. L’interpretazione anglosassone concede infatti alla parola un più ampio margine esplicativo, perché tra le varie possibilità sono annoverate anche quella decisamente più interessante di avvocato patrocinante, o patrono tout court. E in effetti il nostro avvocato, che non avendo nome proprio è indicato per pura metonimia (“cazzo, avvocato! Come butta, avvocato?”), è il mecenate di un’iniziativa burrascosa per non dire follemente rovinosa, fare affari con il cartello messicano, uscendone milionario a fronte di un investimento minimo. I soldi non gli mancano, ma l’avidità spinge l’individuo a cose terribili, e quando il business non va come dovrebbe, nessuno dei disperati protagonisti della pellicola sembra rendersene conto.procura 1

Sono tutti troppo presi dal denaro, il loro, quello che investono in esistenze rampanti, in completi e macchine e appartamenti, per capire che con la mafia messicana non si scherza, e che basta pestare i piedi a qualche gangster dalla pelle scura per venire garrotati con un bolito (non ne avete mai sentito parlare? E di una corbata colombiana?), o per finire imbustati in un bidone di salamoia tra i sottaceti. Nemmeno Brad Pitt, socio in affari dell’avvocato, ha capito in che guaio si stiano cacciando tutti i suoi commilitoni, lui che pure di consigli ne dispensa a iosa. Una Cameron Diaz leopardata di tatuaggi e con un dente d’oro tenta di sedurre Penélope Cruz, moglie fedele ma un po’ tonta dell’avvocato, molesta un prete per il puro piacere della provocazione e non contenta conclude la giornata masturbandosi depilata a cavalcioni di una Ferrari gialla, naturalmente sotto lo sguardo imbambolato del consorte: un Javier Bardem imbellettato come lo sceicco pitonato e burino degli scamiciati ispanici, che per metà del tempo gigioneggia parlando di donne e puttane, per l’altra si abbandona alle feste, al lusso pacchiano e cafone di ville sempre troppo grandi e troppo ricche per destare ammirazione. Il che ricorda un po’ Jennifer McCharty, la svitatella ex moglie del Pulitzer Prize winner che di recente, nel merito di una furibonda discussione sull’esistenza degli alieni (lei ne è convinta sostenitrice) ha estratto una Smith & Wesson dalla propria vagina, minacciando il fidanzato che tosto l’ha disarmata per gettare la pistola nel gabinetto. Ah, gli americani…

procura 2Il procuratore procede su questa strada, con un ritmo tanto lento quanto sinuoso, crudele ma affascinante, sgocciolato tra aforismi filosofeggiati da malavitosi di confine con un debole per l’oratoria, suggestioni sibilline e altrettanto criptiche esortazioni alla circospezione. Di chi sarebbe meglio diffidare? Di tutti, di se stessi, della propria arrogante sicurezza, del mondo intero. Nulla viene detto con precisione, ma solo segnalato con un cenno, come a voler sbrigativamente lasciar cadere l’argomento, con una strizzata d’occhio o una stretta di mano così seducente da sembrare come minimo sospetta. La frontiera per Ridley Scott o per Cormac McCharty è forse solo questo, una questione di retorica, un solfeggio di lingue creole e pasticciate tra (in)culture di passaggio, uno stato d’animo incomunicabile con la schiettezza bovara del profondo sud, ma soltanto insinuabile. Siamo a un passo dalle due ore di proiezione, eppure c’è tutto un campionario umano, inumano, bestiale di pensieri raminghi e cristallina anomia, dalle frasi di risolutorio nichilismo (“le donne, le ho conosciute tutte: è una merda. È tutta una merda”) fino alle battute degne di un barzellettiere stitico (“ehi, avvocato! Lo sai perché Gesù non è nato in Messico? Perché non c’erano né tre saggi né una vergine”). D’accordo, si parla troppo, forse sarebbe bastata una potatura leggera, una sforbiciata alla chioma, o forse Scott non è uno di quei barbieri di poche parole che menano fendenti e radono capigliature: no, lui preferisce arruffare, costruire, inscenare complessi barocchismi su un palcoscenico di impeccabile formalità. Questione di stile, appunto.

Marco Marchetti

Titolo originale: The Counselor. Regia: Ridley Scott. Sceneggiatura: Cormac McCarthy. Fotografia: Dariusz Wolski. Montaggio: Pietro Scalia. Musica: Daniel Pemberton. Interpreti: Michael Fassbender, Cameron Diaz, Penélope Cruz, Javier Bardem, Brad Pitt, Bruno Ganz. Origine: USA. Anno: 2014. Durata: 117 min.

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