Una magistrale riflessione sulla morale, e in particolare sulla morale matrimoniale, per così dire, è condotta da Lev Tolstoj ne La sonata a Kreutzer, celebre racconto ultimato, dopo lungo travaglio, nel 1889, e al centro di un caso particolarmente intricato di censura a causa della scabrosità degli argomenti trattati (l’opera venne pubblicata solo per intervento dello zar Alessandro III). Narrando la semplice vicenda dell’uxoricida Vasja Pozdnyšev, l’autore esprime un giudizio estremamente critico nei confronti dell’amore coniugale, spietatamente dipinto nei termini di una finzione inutile e crudele. L’accusa che Tolstoj indirizza all’educazione sentimental-sessuale del tempo ha in realtà un carattere universale, risolvendosi di fatto in una (certamente non equilibrata e forse discutibile, ma definitiva) condanna dell’inganno che, a giudizio dello scrittore, regge i rapporti tra marito e moglie. Di fronte a certe pagine del racconto, non si può non operare un inconscio collegamento con alcune suggestioni dell’ultimo film di Stanley Kubrick, Eyes Wide Shut (1999), altro splendido esempio di riflessione sulla morale e sulle sue contraddizioni, osservate attraverso il punto di vista, in qualche modo privilegiato, della crisi di una coppia (in questo senso mi pare di poter dire che Kubrick affronti le implicazioni morali della vicenda in termini più espliciti e radicali di quanto non faccia Arthur Schnitlzer nella Traumnovelle, 1928). Mi limito a segnalare due punti del racconto di Tolstoj che mi sembrano significativi, ribadendo che si tratta di pure impressioni, prive di implicazioni di diversa natura, che meriterebbero ben altro livello di analisi.
1) Pozdnyšev così si esprime a proposito del fidanzamento (cap. 10):
“Il tempo che fui fidanzato non durò a lungo. Adesso non posso ricordare senza vergogna questo tempo del fidanzamento! Che orrore! Infatti si sottintende un amore spirituale, e non sensuale. Ebbene, se l’amore fosse spirituale, una comunione spirituale, questa comunione spirituale dovrebbe esprimersi con parole, discorsi, colloqui. Invece non ci fu niente di tutto questo. Quando rimanevamo soli, parlare, di solito, era tremendamente difficile. Che lavoro di Sisifo era mai! Appena avevi escogitato che cosa dire, e lo dicevi, bisognava di nuovo tacere e immaginare qualcosa. Non c’era di che parlare. Tutto quello che si poteva dire sulla vita che ci attendeva, sulla nostra sistemazione, sui nostri progetti era stato detto; e dopo? Perché se fossimo stati bestie, avremmo saputo benissimo che non avevamo da parlare; ma lì, al contrario, parlare si doveva, ed era inutile, giacché c’interessava qualcosa che non si risolve con i discorsi. E, per di più, ancora quell’indecente uso dei confetti, della volgare voracità di dolciumi, e tutti quegli infami preparativi del matrimonio: i discorsi sull’alloggio, sulla camera da letto, sui letti, sulle vestaglie, sulle vesti da camera, sulla biancheria, sulle toilettes. Dovete capire che, se ci si sposa secondo le regole del “Domostroj” come diceva quel vecchio, i piumini, il corredo, il letto sono tutti non altro che particolari che accompagnano il sacramento. Ma tra noi, quando su dieci che contraggono matrimonio ce n’è forse uno che non solo crede al sacramento, ma crede perfino che quello che sta facendo costituisce un certo obbligo, quando su cento uomini ce n’è forse uno che non abbia già avuto moglie prima e uno su cinquanta che non si prepari anticipatamente a tradire la propria moglie a ogni occasione favorevole, quando la maggioranza guarda all’andata in chiesa soltanto come a una speciale condizione per possedere una certa donna; pensate, in questo caso, che orribile significato assumono tutti questi particolari. Ne risulta che tutto sta in questo. Ne risulta una specie di vendita. A un depravato viene venduta una fanciulla innocente, e questa vendita è accompagnata da determinate formalità.”
[si pensi soprattutto al finale di Eyes Wide Shut, decisamente più esplicito – e pessimistico – in merito all’essenza delle relazioni di coppia rispetto alla novella di Schnitzler]
2) Questo è invece il racconto del protagonista della sensazione di gelosia che lo invade allorché immagina il tradimento della moglie, che è già intenzionato ad uccidere (cap. 25):
“Da quando ero salito in treno non potevo più dominare la mia immaginazione, ed essa cominciò a dipingermi senza interruzione, con straordinaria vivacità, dei quadri che infiammavano la mia gelosia, dei quadri che si susseguivano l’uno all’altro ed erano uno più cinico dell’altro e rappresentavano sempre la stessa cosa, quello che accadeva là in mia assenza, il modo come lei m’aveva tradito. Ardevo d’indignazione, di rabbia e inoltre d’un particolare senso d’inebriamento della mia propria umiliazione, contemplando quei quadri, e non potevo staccarmene, non potevo non guardarli, non potevo cancellarli o non suscitarli. Anzi, quanto più contemplavo questi quadri immaginari, tanto più credevo alla loro realtà. La vivacità con cui mi apparivano questi quadri pareva servisse a dimostrare che quanto avevo immaginato era realtà. Era come se un diavolo escogitasse e mi suggerisse contro la mia volontà le considerazioni più orribili.”
[si pensi al modo in cui Kubrick rappresenta un tradimento ancor più immaginario, quello mai avvenuto di Alice, e il grado di realtà che esso acquista nell’ossessione di Bill]
Roberto Mandile