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Lo sciacallo – Nightcrawler

sciacallo locaIn tempo di crisi un lavoro è un lavoro, poco importa che chi lo svolge cammini costantemente sul baratro dell’illegalità, poco importa se per guadagnare sia necessario truffare gli altri. O peggio ancora, appropriarsi delle loro disgrazie, riprendere la crudeltà della vita per rivenderla al miglior offerente. Quando non ci sono soldi per mangiare, né per pagarsi le bollette e mantenersi una casa decente, il senso della morale passa inesorabilmente in secondo piano. È così che sono nati i nightcrawlers, coloro che strisciano nell’oscurità, giornalisti d’assalto alla ricerca dell’incidente perfetto da filmare, paparazzi della morte eccitati dall’odore del sangue, sciacalli armati di videocamera che intrappolano il dolore della gente. Ce n’è per tutti i gusti, in questa Los Angeles senza anima, massacri del sabato sera, sparatorie, stupri e rapine, schianti automobilistici con cadaveri ustionati, feriti e mutilati da mandare in onda. Lou Bloom (Jake Gyllenhaal) è uno di loro, uno spavaldo maneggione di periferia trasformatosi in reporter dell’annientamento, uno di quelli che da noi farebbero i venditori porta a porta tutta la vita e nel paese di zio Sam sono destinati a trainare le aziende verso la gloria. Ha la stoffa giusta per comandare, lui: non ha paura di nulla, non ha pietà né sentimenti, ha seguito tutti i corsi di economia aziendale disponibili su internet, e quando illustra il suo punto di vista, lo fa con la precisione asettica di un manuale di marketing. Avere chiare le motivazioni tanto quanto gli obiettivi. La comunicazione è la base del lavoro di squadra. Ogni notte il nostro romba per le strade deserte della conurbazione, ogni notte batte i quartieri bianchi presi d’assalto da bande di ispanici violenti, negri, spacciatori e immigrati. Arriva prima della polizia, filma tutto ciò che è (in)umanamente possibile filmare, e passa il materiale all’emittente televisiva che lo paga meglio.nightcrawler 3

Può un film riproporre una serie di tematiche (la pornografia dello sguardo, il rapporto tra media e potere nella produzione delle immagini, la manipolazione della realtà attraverso l’uso del montaggio) senza mai cadere nel banale? Sì, purché a dirigere i lavori ci pensi uno come Dan Gilroy, tanto più bravo in quanto esordiente. Gilroy è uno che con il cinema ci è cresciuto: figlio di un drammaturgo vincitore del Pulitzer, ha un fratello con cui ha scritto la sceneggiatura di The Bourne Legacy (2012) e un gemello che lavora come montatore. Era evidente che la regia sarebbe stato il passo seguente, la coronazione definitiva di un successo, la gratificazione di una certa abilità tecnica e professionale. Lo sciacallo inscena una società che ha rinunciato ai valori esistenziali per quelli di mercato, e al giornalismo d’inchiesta per quello sensazionalistico. Quando però non resta da vendere altro che la morte, ecco che questi temibili figli dei tempi (disoccupati, ladruncoli, furbetti del quartierino che stanno alla fame) corrono in prima persona a caccia di scoop, facendosi concorrenza tra loro, riprendendosi a vicenda quando da consapevoli avvoltoi si trasformano in vittime disperate (Bill Paxton, nemico giurato di Bloom, si schianta contro un palo della luce e finisce catturato dall’obiettivo del rivale). Mors tua, vita mea. La caduta in picchiata nel degrado diventa l’improvvisa scalata al successo di Bloom, modernissimo esempio di self-made man, un Fabrizio Corona da dietro le quinte, più cattivo, maledetto e intelligente, e per questo in grado di ricattare ancora meglio gli stessi giornalisti che l’hanno assunto (in particolare Rene Russo, moglie del regista, e oggetto delle attenzioni erotiche del protagonista).

K72A3451d.tifBloom diventa presto così abile da dettare cifre e condizioni, da trasfondersi da mero esecutore del crimine in filosofo dello stesso, pianificatore del massacro al servizio di un popolo offuscato dal desiderio di apparire su piccolo schermo. Gilroy si interroga sulla capacità dei media di plagiare la realtà attraverso i documenti che la compongono, fino a quando il giornalista non è più testimone dell’evento ma creatore della notizia, abbandona la sua veste talare di cerimoniere del delitto per indossare quella altrettanto spuria di boia della verità. Lo sciacallo finisce per somigliare alla versione narrativa e narrativizzata di Cosmopolis, un uomo che parla con il linguaggio dei corsi on-line, che rimastica pezzi di conversazioni rubate alle aule di economia e commercio, che pensa attraverso i numeri e comunica grazie alle immagini che raccoglie. Le sbavature sono davvero poche e tutte abbastanza scusabili (l’aiutante di Lou, il giovane rapper Riz Ahmed, che si prende uno stipendio senza fare assolutamente nulla: a che pro? O lo scoop nella villa piena di corpi crivellati di proiettili, la polizia che non arriva, le ambulanze che tardano per un tempo inspiegabilmente lungo). Piccolezze, appendici di sbadataggine in un film di due ore carico di adrenalina. Alla fine resta sempre la grande incognita: siamo noi che pensiamo attraverso le immagini o sono le immagini che pensano attraverso di noi?

Marco Marchetti

Lo sciacallo – Nightcrawler

Titolo originale: Nightcrawler. Regia: Dan Gillroy. Soggetto: Dan Gilroy. Sceneggiatura: Dan Gilroy. Fotografia: Robert Elswit. Montaggio: John Gilroy. Musica: James Newton Howard. Interpreti: Jake Gyllenhaal, Rene Russo, Bill Paxton, Riz Ahmed. Origine: USA, 2014. Durata: 117′.

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