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Berlinale 74: l’iraniano My Favourite Cake

Il film iraniano del Concorso, come purtroppo spesso capita di recente, è preannunciato da notizie di censura, infatti i registi Maryam Moghaddam e Behtash Sanaeeha non sono a Berlino (vedi immagine di copertina) perché le autorità iraniane gli hanno impedito di viaggiare, i loro passaporti sono stati confiscati circa un mese fa e devono affrontare un processo in tribunale a causa del loro film. In una nota rilasciata dal festival i due registi ci dicono: “ci sentiamo come genitori a cui è proibito guardare il loro bambino appena nato. Oggi non ci è stato permesso di goderci la visione del film con voi, pubblico esigente di questo festival cinematografico. Siamo tristi e stanchi, ma non siamo soli”. I due si dicono orgogliosi che il film venga proiettato e lo dedicano alle donne del loro paese che con coraggio si pongono in prima linea per un cambiamento della società iraniana.
Maryam Moghaddam è un’attrice, sceneggiatrice e regista iraniana, conosciuta al pubblico internazionale soprattutto per la sua recitazione in Closed Curtain film di Jafar Panahi del 2013, e già regista insieme a Behtash Sanaeeha del recente Ballad of a White Cow del 2020.

My Favorite Cake racconta della solitudine che le donne iraniane affrontano in età avanzata, spesso sposano mariti più anziani che muoiono prima di loro e perciò vivono gran parte della loro vita da sole. È una storia che non viene raccontata spesso e che contraddice l’immagine comune delle donne iraniane, infatti i due registi ci mostrano la protagonista Mahin che prende iniziativa, che si sforza di riassaporare i momenti dolci della vita.
Il film è piacevole e divertente, è per gran parte una commedia, i due registi hanno un tocco leggero anche quando mostrano degli evidenti riferimenti critici al controllo delle autorità. Mostrano chiaramente la preoccupazione della donna nel farsi vedere con un uomo non sposato, ma nonostante un clima di disagio i registi non creano mai tensione: come Mahin vive con leggerezza, anche i registi sono delicati nel raccontare delle situazioni che potrebbero evolvere nel modo peggiore, ad esempio nella scena ambientata in un parco dove la protagonista si contrappone alla polizia morale che voleva arrestare una ragazza per lo hijab non indossato in maniera appropriata.
Il finale, come spesso capita nel cinema iraniano, ribalta in modo inaspettato la situazione, non lo riveliamo per non rovinare un momento inatteso e potente, di sicuro è stato uno dei motivi che hanno portato alla presa di posizione del regime, ma altrettanto sicuramente è uno dei pregi del film, che scava in una realtà poco raccontata e in questo modo sfida apertamente la censura.

da Berlino, Claudio Casazza

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