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The Colony

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Oltreconfine: i film che non ci fanno vedere

The Colony

Regia: Jeff Renfroe. Sceneggiatura: Jeff Renfroe, Svet Rouskov, Patrick Tarr, Pascal Trottier. Fotografia: Pierre Gill. Montaggio: Aaron Marshall. Musica: Jeff Danna. Interpreti: Kevin Zegers, Bill Paxton, Laurence Fishburne. Origine: Canada. Durata: 93 min.

Un’apocalisse climatica ha trasformato il mondo in un gigantesco Antartide senza luce e calore. Chi non è morto di fame, è stato ucciso da una misteriosa epidemia di origine virale, e chi è riuscito a sopravvivere ai terribili bacelli, si è rifugiato in una rete di colonie sotterranee unite tra loro da un patto di reciproco sostegno. Un giorno il gruppo capeggiato dai carismatici leader Briggs (Laurence Fishburne) e Sam (Kevin Zegers) perde i contatti radio con un vicino insediamento, e mentre i due sono impegnati in una missione di soccorso dagli esiti catastrofici, il sanguinario Mason (Bill Paxton) approfitta dell’assenza dei rivali per instaurare un regime autoritario e repressivo.

Jeff Renfroe è uno sconosciuto bottegaio di Hollywood, un tizio giovane e dalla faccia simpatica che per quanto dotato di non indifferenti qualità registiche (ha lavorato con Udo Kier, Peter Krause, Deborah Kara Unger e Lance Henriksen) non ha mai imbroccato il grande successo che di sicuro avrebbe desiderato. Il che è anche comprensibile, perché Jeff è un mestierante dannatamente bravo, uno che ci sa fare, sa cos’è una macchina da presa, come utilizzarla al meglio e tutto il resto, eppure gli manca la capacità di elevarsi al di sopra di tutti gli altri pretendenti al trono dei grandi. Non che questo sia un difetto, se Federico Zampaglione riuscisse a rendere meno della metà di quel che vale Renfroe, si potrebbe a ragion veduta parlare di una vera e propria rinascita cinematografica italiana; è semmai una constatazione, un giudizio di merito che colloca questo professionista nell’albo degli artigiani specializzati ma non (ancora) in quello dei maestri. The Colony è di sicuro il suo film più completo, quello che si ricorderà negli anni a venire, e che forse riuscirà a ritagliarsi persino un loculo nel sacello dei cult. Non solo (o non tanto) perché ci recitano Laurence Fishburne e Bill Paxton, due nomi che da soli potrebbero far ventilare l’ipotesi di una distribuzione lungo i patri litorali, semmai per la sicurezza con cui il regista si accosta alla materia trattata.the colony

The Colony non ha niente di originale, è vero, ma non è questo il punto, perché un film può anche non dire niente di nuovo ma dirlo benissimo, oppure può dire delle cose estremamente innovative ma utilizzando un linguaggio noioso e superato. Ecco, Renfroe preferisce la prima strada, battere un terreno già esplorato senza apportare precipui elementi di modernità linguistica o tematica, ma aggiornandone semmai i presupposti per un onesto film di puro intrattenimento. Le faide politiche per la leadership del gruppo paiono mutuate dallo splendido The Divide (2011) di Xavier Gens, la minaccia che preme contro le insicure mura dell’insediamento viene piuttosto dai budelli tortuosi di Pandorum (2009), mentre per gli spazi sconfinati di questo mondo apocalittico sembra essere stato scelto The Road (2009). Insomma, ce n’è per tutti i gusti, come in un crocicchio di strade che si incrociano tra di loro, e i cui flussi di traffico finiscono per aggrovigliarsi in una sedimentazione di rimandi e strizzatine d’occhio. E allora? E allora niente, ci si siede in poltrona e ci si diverte per un’ora e mezza, perché questo è lo scopo del cinema di genere: rispettare lo spettatore e le premesse da cui si è partiti. Quando si fa questo, il gioco è fatto e la pellicola è promossa a pieni voti. The Colony è virulento, crudele e soprattutto sanamente barbaro: ci sono teste amputate, braccia e gambe segate, inseguimenti mozzafiato nella neve e tra le vestigia di un mondo ormai scomparso. Ci sono la morte e l’orrore di (e per) un futuro preistorico, in cui il diritto e le applicazioni dello stesso si misurano con i fucili e le esecuzioni sommarie. Se questo non vi basta, allora vuol dire che siete degli inguaribili snob.

Marco Marchetti

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