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To the Wonder

Sembra di ripercorrere territori già battuti. Vedere To the Wonder dopo The Tree of Life, magari dopo The New World, estrapolando con pazienza anche la storia d’amore del soldato Ben Chaplin in La sottile linea rossa, sarebbe qualcosa di più che un semplice esercizio. Malick non sorprende con questa ultima fatica, colonna visiva e colonna mont saint michelsonora sono costanti marchi di fabbrica per descrivere il suo percorso filosofico. Sorprende semmai l’uscita a due soli anni di distanza dal film precedente, inusuale per un regista che solitamente si prende lunghe pause.
Sarà che To the Wonder pare intimamente connesso con The Tree of Life (potrebbe anche esserne un prequel tematico). Una miniatura questa, una gigantografia l’altra. Le relazioni umane, il rapporto uomo-donna, l’amore uomo-Dio, la natura come luogo di immersione, persistono come nuclei centrali e determinano le fasi di un racconto sostenuto dal solito flusso di pensieri, voci over che dialogano tra loro e con il pubblico, accavallandosi, sintetizzandosi con le immagini in una forma poetica ricercata, ma non più stupefacente. I protagonisti del film si domandano ancora una volta “cos’è questo amore”, “da dove viene”, “chi lo crea”, il valore di “essere due e poi uno”; poi arriva il dolore dopo le luci inebrianti della passione che lascia sgomenti, soli nell’abbandono; un sacerdote interroga vanamente Dio, che esige amore senza compromessi ma si nega, mentre ciò che del creato è manifesto è l’indifferenza della natura meravigliosa alle sofferenze degli uomini. Perché questa splendida sinfonia riconduce all’impotenza? Tutto è vano? Tutto è niente? Tutto è un attimo e poi scompare.
La storia molto semplice vede una coppia amarsi in Francia (Mont Saint Michel e Parigi), lui è americano (Affleck) e porta lei (Kurylenko), che è già madre di una bambina di dieci anni, in Oklahoma. Poi l’amore passa come fosse stato un miraggio e lui ritrova una vecchia fiamma (McAdams). Anche questa volta il fuoco della passione non dura che una erbabreve stagione. Altra sofferenza. Ogni cosa è illusoria, mentre il sacerdote, straniero in Oklahoma, pare non aver risposte adeguate per i fedeli. Il dubbio si addomestica difficilmente.
Se in The Tree of Life la famiglia era centrale come nucleo tagliato dalla disgrazia, redento nel percorso individuale di uno dei suoi elementi, questa volta è più lontano il paradiso spirituale, poiché sembra non esserci terra in grado di lenire i dolori. La Terra, wonderful nelle sue forme esteriori, non risponde alle richieste d’aiuto. Non svela nulla sul mistero della presenza umana, sul senso del contorcersi continuo, dell’inappagamento che lo fa inquieto ed errante. Le mani toccano ancora il grano, i corpi corrono beati nelle distese erbose, la marea di Mont Saint Michel è fenomeno affascinante, ma poi ciò che resta è puro smarrimento.
Le inquadrature ricostruiscono immagini già ammirate, lo stile registico non si tradisce, per cui tutto è folgorante bellezza. La sceneggiatura è un canovaccio, su cui Malick fa muovere gli attori, girando tantissimo e scremando quel che serve nel matrimonio con i testi. Non avendo visto le opere precedenti, si rimarrebbe ammaliati e stupefatti. Ma è nella reiterazione della messa in scena e della maniera di raccontare, il limite del film. Del resto Malick espone un’idea che non è ossessione, ma che cerca risposte attraverso il cinema, come i grandi artisti figurativi utilizzano la pittura. Un tema può essere affrontato globalmente e poi nel dettaglio e poi ancora esercitando pressioni di senso o costruendo strade nuove. Forse, dal prossimo film.

Vera Mandusich

To the Wonder

Regia e sceneggiatura: Terrence Malick. Fotografia: Emmanuel Lubezki. Interpreti: Ben Affleck, Olga Kurylenko, Javier Bardem, Rachel McAdams. Origine: Usa, 2013. Durata: 112′.

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