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Vampiri e cinema: una seduzione che dura da più di un secolo

In occasione della mostra Dracula e il mito dei vampiri, in Triennale a Milano fino al 24 marzo 2013, ci è sembrato opportuno dedicare un approfondimento sul rapporto tra cinema e vampiri nella storia e un’intervista al curatore della parte dedicata al cinema Gianni Canova.

È il 1897 quando l’irlandese Bram Stoker pubblica quello che diverrà uno dei più influenti romanzi gotici della letteratura, ovvero Dracula. Un lavoro innovativo, non solo per la sua struttura polifonica e semiepistolare – il libro è infatti composto da lettere e stralci tratti dai diari dei protagonisti – ma soprattutto per essersi generato da suggestioni popolari talmente radicate da aver costretto l’imperatrice Maria Teresa d’Austria nel 1746 a far diffondere un trattato medico in cui si negava la possibile esistenza dei vampiri. Dracula raccoglie influenze letterarie provenienti dal racconto scritto da John Polidori nel 1819, intitolato appunto Il Vampiro e dalla novella Carmilla di Sheridan Le Fanu (1872). Soprattutto però il personaggio di Dracula proviene dalla terribile figura storica di Vlad III principe di Valacchia, detto anche “l’impalatore”.  Dracula1st_jpegDracula è per Bram Stoker colui che ha sconfitto la morte, colui che vive nelle tenebre e che si nutre del sangue sottratto a creature viventi nell’ora più oscura della notte, quando il sonno rapisce le coscienze. Un solo morso per ridurre gli esseri umani a corpi vuoti, senz’anima, condannati ad un eterno vagare sulla terra, ben peggiore della morte. Quella stessa morte che sin dall’infanzia ha corteggiato il cagionevole Bram Stoker, bambino costretto per anni a letto da una malattia e spesso incapace di distinguere sonno e veglia.
Questa l’origine dell’orripilante creatura che domina l’immaginario collettivo, che il cinema ha reinventato innumerevoli volte con mirabili adattamenti dedotti dall’argomento del vampirismo, ma sempre in maniera innovativa ed originale. La prima grande variazione sul tema si ha nel 1910 col cortometraggio prodotto da W. N. Selig The Vampire che introduce sullo schermo la figura della donna vampiro, anticipando una delle creazioni più durature della storia del cinema: la donna vamp o femme fatal che dir si voglia. Questo ruolo sarà istituzionalizzato con l’attrice Theda Bara nel 1915 col film di Frank Powell A fool where was. Bella, seducente, spregiudicata, ma irrimediabilmente malefica la vamp si contrappone alle pudiche dive proposte sino ad allora dal cinema muto. 250px-Marlene_Dietrich_in_No_Highway_(1951)_(Cropped) In Europa il termine era anche associato a stelle delle pellicole danesi come Asta Nielsen ed Else Frolich, che mettevano in scena situazioni fortemente erotiche molto apprezzate dal pubblico e che la Gaumont ripropose con la fortunata serie Les Vampires di Louis Feuillade nel 1915. Da Greta Garbo, passando per Marlene Dietrich, arrivando ad Angelina Jolie la figura della vamp resiste ancora oggi ed aldilà di alcune aberrazioni (come il pessimo film Vamp diretto nel 1986 da Richard Wenk) risulta ancora affascinante ed efficace.
Solo nel 1922 si arriva ad un’autentica trasposizione del romanzo di Stoker. La Germania sconvolta dalla crisi inflazionistica e in preda ad una palpabile angoscia esistenziale si mostra terreno fertile per la nascita del Cinema Espressionista, al quale il regista F. W. Murnau contribuisce dando alla luce (o all’ombra?) Nosferatu – il vampiroNosferatuShadowNonostante i nomi modificati per non pagare i diritti sul romanzo alla vedova di Stoker (tentativo peraltro inutile), l’essenza di Dracula c’è, seppur con le dovute modifiche. Il misterioso attore Max Schreck mette in scena una creatura mostruosa dalla silhouette ricurva, dai lunghi ed arcuati artigli e dagli affilati incisivi, talmente realistico da far pensare che Murnau avesse ingaggiato un vampiro autentico (da questa leggenda ha preso spunto E. Elias Merhige per il suo film del 2000 L’ombra del vampiro). Nosferatu, che letteralmente significa “colui che non è spirato”, può essere sconfitto secondo Murnau se una fanciulla dal cuore puro gli fa dimenticare il canto del gallo.

Questo il primo elemento di differenza rispetto al meraviglioso remake Nosferatu – il principe della notte girato da Werner Herzog nel 1979.nosferatu_pn Per Herzog infatti né l’intensa fede religiosa di Lucy (interpretata da un’esangue Isabelle Adjani), né la ragione scientifica, impersonata nel romanzo da Van Helsing, bastano ad uccidere il male, che è eterno e sempre pronto ad appropriarsi di un nuovo corpo in un’inestinguibile condanna per l’umanità. Il Nosferatu impersonato da Klaus Kinski soffre di solitudine in una città buia e vuota, agogna l’amore e la purezza di Lucy, che donandogliela attraverso un sacrificio che ha il sapore del sesso e della morte, soccombe assieme al suo carnefice. Nella Germania ancora sconvolta dall’orrore del Nazismo ed oppressa dalla Guerra Fredda, il Male non è più la perdita di certezze esistenziali come avveniva all’uomo d’inizio Novecento, ma è avidità e falsità, esemplificate attraverso la figura di Jonathan Harker (Bruno Ganz), personaggio emblematico dell’economia capitalistica, che scatena il mostro e distrugge la socialità.
Interessante notare come il canadese David Cronenberg nel suo vampiresco film del 1976 Rabid – Sete di sangue sostituisca il fattore economico con quello estetico come attivatore del potentissimo morbo malefico, talmente inarrestabile da condurre ad una squallida e sporca apocalisse metropolitana.

Squallore e sporcizia sono in antitesi con la patinata idea di Dracula che Hollywood recupera dalla versione teatrale messa in scena a Broadway  nel 1927 con l’ungherese Bela Lugosi nei panni del Conte. draculaTod Browning crea attraverso Lugosi un uomo/mostro elegante, dalle maniere raffinate, melanconico e che agisce nell’alta società. Da quella pellicola del 1931 così basata sull’estetica della ricchezza, così priva di atti crudeli e sangue, la Universal trasse una serie di sette film, passata alla storia per le numerose trovate narrative, che portano Dracula ad assoggettare al proprio potere altri mostri (in particolare la Creatura del dott. Frankenstein). Non mancano neppure scontri epici. Per non parlare delle peripezie dei suoi figli, altra trovata maiuscola. La Universal omaggerà queste sue creazioni sostenendo nel 2004 la faraonica produzione del mediocre lavoro di Sommers Van Helsing.

Seppur tutti i film della storica serie risultino interessanti, un valore aggiunto si attribuisce alla pellicola comica del 1948 diretta da Charles Barton Il cervello di Frankenstein, nel quale Gianni e Pinotto s’imbattono rocambolescamente nei vari mostri della Universal e in Dracula, interpretato per la seconda ed ultima volta da Bela Lugosi. Ridere di ciò che dovrebbe terrorizzare apre la strada a piccoli gioielli della cinematografia “vampiresca” come Per favore non mordermi sul collo! di Roman Polanski (1967) o lo stranissimo adattamento horror/splatter/comico/erotico del 1974 voluto da Andy Warhol, ma diretto da Paul Morrissey Dracula cerca sangue di vergine.. e morì di sete!!!, nel quale Polanski ha un piccolo cameo e Vittorio De Sica interpreta il suo ultimo ruolo.
Ma Dracula deve essere soprattutto un maligno succhia sangue e l’ignobile bacio mortale deve vedersi per quello che è: crudele e sanguigno. Sarà la britannica produzione Hammer ad inserire sullo schermo la violenza col film diretto da Terence Fisher Dracula – il vampiro del 1958, visivamente accentuata dal technicolor.dracula Nonostante questa versione si prenda numerose libertà rispetto al romanzo, rimane quella che ha maggiormente formato l’idea di Dracula nell’immaginario collettivo, soprattutto grazie alle interpretazioni di Christopher Lee, che recita in sette dei nove film della serie targata Hammer. L’attore inglese ci rammenta che per quanto il Male possa apparire seducente e d’aspetto piacevole, può essere sconfitto se la luce dell’intelligenza rischiara la Verità, anche se il percorso può essere accidentato, costellato d’illusioni, come avveniva nel film del 1932 Vampyr di quel maestro del cinema che fu Carl Th. Dreyer. Sua l’intuizione di concentrare tutta la paura in un’unica inquadratura, una soggettiva del buon protagonista vivo in una bara. Il gioco d’assenze e silenzi di quel capolavoro mostra come il pericolo non sia sempre così manifesto come suggeriscono le pellicole Hammer.

Negli anni Novanta Hollywood rifiuta l’idea del vampiro come archetipo ontologico del Male. A partire dal film Dracula di Bram Stoker di F. F. Coppola (uscito nel 1992), sembra insorgere la necessità di mostrare l’uomo che si cela dietro il mostro, un uomo che prima di vendere la propria anima alle tenebre è sacrificato dalla società, perché costretto a perorare un’indistinta causa agendo crudelmente e senza pietà. 300px-Dracula_di_Bram_Stoker_(1992)L’armatura che esteriorizza la muscolatura di Dracula/Gary Oldman, ideata dalla costumista premio Oscar Eiko Ishiota, lo priva della pelle e della sensibilità in guerra, ma lo espone al dolore per la morte della consorte. Poi la dannazione, l’attesa lungo i secoli ed il riconoscimento della moglie nelle fattezze della giovane Mina (Winona Ryder). Infine la seduzione nel luogo dove gli attimi divengono eterni, ovvero il cinema.
Due anni dopo il regista Neil Jordan porterà il suo vampiro Louis, interpretato da Brad Pitt, a rivedere l’alba dopo secoli grazie al cinema.Intervista-col-Vampiro-1994_main_image_object Intervista col vampiro è un film che ragiona sulle implicazioni del vivere fuori dall’umanità. Se Louis preserva la sua bontà e ciò che di umano in lui è rimasto, Lestat (Tom Cruise) disprezza la civiltà, facendosi beffe delle sue leggi e rifiutando d’adeguarsi ai suoi costumi. Ma la peggior situazione è vissuta da Claudia (Kirsten Dunst), frutto eternamente acerbo che può solo imitare i tormenti amorosi di un’età adulta che non vivrà mai.
Nonostante ciò che afferma Stephenie Meyer, autrice della popolarissima saga di Twilight, non può esserci amore in senso classico tra esseri umani e vampiri. 20130973_BG1Lo dimostra il fatto che per far funzionare la sua storia l’autrice debba: snaturare la figura della creatura della notte (Edward Cullen se ne va tranquillamente a spasso durante il giorno), ideare l’eroina più passiva della storia e scopiazzare qua e là dalla serie tv Buffy – L’ammazza vampiri. Al massimo l’uomo può essere affascinato dall’idea di malvagia onnipotenza ed immortalità come avviene al piccolo Oskar, protagonista del film di Tomas Alfredson Lasciami entrare (2008). Oskar si trova simile alla vampira dodicenne Elly, poiché la loro innata crudeltà li porta alla solitudine. lasciami_entrareLui vorrebbe uccidere i bulletti che lo tormentano, ma la paura fa sì che questo desiderio resti nel regno della pura volontà, almeno fino all’incontro con Elly. Lei uccide per natura, apparentemente senza poter scegliere, perché anche l’egoistica scelta dell’autoconservazione ad ogni costo, implica una scelta. Questi due bambini violenti che si rimbalzano la palla della colpa offendono le convenzioni, così come una macchia di sangue offende il candore della neve.

La colpa del vampiro e quella degli esseri umani, che non sanno né rinnegare il peccato né accoglierlo, celando il loro tenebroso mistero nell’oscurità balsamica della filosofia. Questa la tesi proposta da Abel Ferrara, autore della pellicola del 1995 The addiction – vampiri a New York, nella quale la fotografia in bianco fa da raccordo tra la truculenta violenza dei non morti e le realistiche immagini delle grandi stragi perpetrate dall’umanità nella Storia.
Dopo il divertente remake cinematografico della vecchia soap opera Dark Shadows diretto l’anno scorso da Tim Burton ed il personale Dracula 3D di Dario Argento, non è possibile prevedere come si evolverà il genere. Ciò che è certo è che i vampiri si troveranno sempre bene all’ombra di una sala di proiezione. E noi con loro.

Giulia Colella

Intervista a Gianni Canova: il Cinema ed i Vampiri

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